Psichiatria e Recovery, quando la malattia mentale è un fine pena mai
di Giovanna Mele
“In fondo in questa vita nessuno viene capito veramente” Alda Merini.
Lavorare in psichiatria ci pone davanti allo stigma del
“matto” ufficiale, che ci fa sentire “normali”, che ci fa giustificare le
nostre stranezze, con il rischio di sentirsi in grado di poter “guarire” chi ci
troviamo di fronte o di contro farci sentire completamente inermi quasi
girovaghi in città sconosciute che hanno per nome delle patologie. Quante volte
ci sentiamo non capiti e avvertiamo quella sensazione terribile di essere soli
in un posto o con gente sconosciuta, dove magari siamo cresciuti o con persone
che conosciamo da tempo, eppure ci sentiamo non capiti, quasi “folli”. Immagino
cosa debba essere una vita vissuta così, “naturalmente folle”, qualcuno ti ha
guardato, visitato, e semplicemente diagnosticato una malattia mentale, e il
termine guarigione non esiste. Il concetto di “guarigione” in psichiatria era
affrontato dagli psichiatri con molta parsimonia e preferivano in genere
limitarsi a prendere atto della “remissione” sintomatologica del disturbo
curato. Ma cosa significa “guarire” e soprattutto si può guarire dalla malattia
mentale? Sono domande inquietanti la cui unica risposta, credo sia, che si può
continuare a vivere nonostante la patologia. La riabilitazione psichiatrica
passa anche dal concetto di “Recovery”.
Nel campo della salute mentale,
“Recovery” si riferisce a un processo attivo, dinamico e altamente individuale
attraverso cui una persona assume la responsabilità della propria vita, e
sviluppa uno specifico insieme di strategie rivolte non solo al fronteggiamento
dei sintomi, ma anche alle minacce secondarie della disabilità, che comprendono
stigma, discriminazione ed esclusione sociale. Un aspetto critico di questo
processo è lo sviluppo di un senso di coscienza circa la propria esperienza
come persona con un problema mentale, la ricerca di un significato personale in
questa esperienza e perciò lo sviluppo di un senso di sé stesso come 'altro
dall'essere disabile. In un processo di “Recovery” è importante la presa di
coscienza da parte del paziente della propria condizione: è difficile sentirsi
dei “pazzi”. Lo scopo riabilitativo della “Recovery” è fornire degli strumenti
al paziente che gli permettano di vivere una vita nonostante la patologia, e
cercare di veicolare al paziente che avere una patologia mentale non significa
“essere la patologia”.
Da circa due mesi e mezzo, io e Sofia Tenuta, tecnico della riabilitazione psichiatrica sotto la spinta del Medico psichiatra Paolo Rizza, nella REMS di Santa Sofia d’Epiro, abbiamo intrapreso questo percorso con 12 pazienti, non con poca difficoltà. Riuscire ad inculcare loro il concetto di “Recovery” non è stato semplice e probabilmente non è ancora del tutto chiaro ma abbiamo ritenuto fondamentale, in questo contesto, cominciare ad affrontare argomenti come futuro, progetti, lavoro, società, ovviamente senza creare false speranze, perché per alcuni, forse per molti non ci sarà niente di tutto questo, ma credo che il sentirsi considerati, anche nella patologia, serva a sentirsi vivi.
Da circa due mesi e mezzo, io e Sofia Tenuta, tecnico della riabilitazione psichiatrica sotto la spinta del Medico psichiatra Paolo Rizza, nella REMS di Santa Sofia d’Epiro, abbiamo intrapreso questo percorso con 12 pazienti, non con poca difficoltà. Riuscire ad inculcare loro il concetto di “Recovery” non è stato semplice e probabilmente non è ancora del tutto chiaro ma abbiamo ritenuto fondamentale, in questo contesto, cominciare ad affrontare argomenti come futuro, progetti, lavoro, società, ovviamente senza creare false speranze, perché per alcuni, forse per molti non ci sarà niente di tutto questo, ma credo che il sentirsi considerati, anche nella patologia, serva a sentirsi vivi.
Quello che stiamo cercando di trasmettere
loro è la consapevolezza della presenza della malattia che va trattata
sicuramente farmacologicamente, ma oltre la patologia può esserci una vita da
vivere, degli spazi da riempire, dei momenti da organizzare, che servono anche
alla gestione della patologia, nell’evitare le ricadute, nel riconoscere i
sintomi, nel superare lo stigma dell’essere folli. In particolare stiamo
puntando molto sul fattore accettazione, è difficile per tutti accettarsi per
quello che si è veramente, ancor di più se si hanno dei problemi, delle
difficoltà.
Ma accettarsi e riconoscersi soprattutto, diviene fondamentale per
cercare di riprendersi una vita, qualunque essa sia, ed è quello che ci auspichiamo
di fare in questo percorso di Recovery senza nessuna aspettativa ma con la
speranza di lasciare un granello di sabbia sul percorso di questi pazienti e di
quelli che verranno e con la consapevolezza che in molti casi la malattia
mentale è un fine pena mai!
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