MEDIAZIONE PENALE - Accogliere il disordine




a cura di Cristina Ciambrone, Maria Spizzirri, Fernanda Fuoco, Stefania Barberio, Giusy Schipani

Mediare deriva dal latino e significa “aprire nel mezzo”, luogo in cui i pregiudizi vengono scardinati e abbattuti attraverso un nuovo modo di accogliere e riconoscere l’essere umano. 
Uno spazio in cui le sofferenze, il rancore, i conflitti, riescono ad evolversi superando le barriere dei reati commessi.
Occuparsi di giustizia riparativa e di mediazione non significa considerarsi alternativi alla giustizia penale ma dare spazio alle vittime di reato che nei processi penali tradizionali non hanno.
Compito del mediatore, figura terza e neutra, sarà quella di “traghettare” ed “accompagnare” i protagonisti da una riva all’altra, attraverso loro stessi, verso la via della trasformazione e della guarigione; definito un “artigiano di pace” il mediatore cercherà di arginare il conflitto per renderlo costruttivo e mai distruttivo.



Negli incontri di mediazione si lavora, attraverso laboratori di tipo esperienziale e dinamiche di gruppo, per cercare di attivare la capacità dei protagonisti di “vedere l’altro”, indirizzando la loro attenzione su tematiche relazionali basate sul riconoscimento delle emozioni.
Caratteristica principale di questa figura professionale è la sospensione totale del giudizio, accogliendo le emozioni dei protagonisti per “rifletterle” attraverso lo specchio, restituendole agli stessi, toccando il cuore della sofferenza dell’uomo e guardando l’altro con occhi diversi. 


Nella rappresentazione del conflitto diventa necessario accogliere il disordine quale funzione essenziale della mediazione, in uno spazio ed un tempo dove ognuno può vivere e superare le proprie contraddizioni e le proprie sofferenze.



Ciò che è opposto si concilia, dalle cose in contrasto nasce l'armonia più bella, e tutto si genera per via di contesa. (Eraclito)

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