Mediazione penale, l’arte del conflitto
di Cristina Ciambrone, Giuseppina Schipani e lo Staff A.I.Me.Pe
La mediazione è una pratica di gestione dei conflitti che si è diffusa negli ultimi decenni in molti paesi e che può essere definita come un processo informale ma strutturato, ove le parti in conflitto si incontrano volontariamente, assistite da una terza parte imparziale per parlare del conflitto emerso. Il mediatore deve guidare nel processo di mediazione e per farlo deve essere terzo, godere della fiducia delle parti, oltre ad essere autorevole ai loro occhi: l’assenza di potere è, quindi, un elemento costitutivo. In questa prospettiva dunque la pace non è assenza di conflitto, ma è il frutto di una competenza relazionale capace di gestire positivamente i conflitti.
Lo scontro nasce quando due persone che devono andare verso una realtà desiderata, non riescono a trovare insieme un accordo. Si può trattare di aspetti piccoli e grandi, dal comprare una casa all’andare a mangiare una pizza. Il conflitto molto spesso è un problema di comunicazione: le persone non riescono a mettere in comune la visione della realtà o non riescono a rendere comprensibili i loro linguaggi, lo stesso può anche essere positivo perché rappresenta un’opportunità di crescita e di cambiamento. Non riconoscere il conflitto come normale ed inevitabile aspetto delle relazioni umane fa sì che a esso si sostituisca la violenza: un comportamento che tende a eliminare il problema anziché a riconoscerlo, a recidere le relazioni, anziché a metterle in movimento.
Litigare rappresenta una risorsa che appartiene al dibattito delle idee e delle opinioni. Non litigare è impossibile, non sempre fa bene ai rapporti, perché in genere l’atteggiamento che si tende ad assumere è quello di eliminare l’ascolto e cercare terreni sempre diversi dove attivare il conflitto. Il litigio per essere risolvibile, presuppone di mantenere costante l’argomento del contrasto o di scoprire il vero problema che si nasconde sotto lo scontro. Il problema non è il conflitto, ma il modo in cui si confligge, che va trasformato e depurato dalle possibili contaminazioni distruttive alle quali la nostra cultura, intrisa di violenza.
Litigare rappresenta una risorsa che appartiene al dibattito delle idee e delle opinioni. Non litigare è impossibile, non sempre fa bene ai rapporti, perché in genere l’atteggiamento che si tende ad assumere è quello di eliminare l’ascolto e cercare terreni sempre diversi dove attivare il conflitto. Il litigio per essere risolvibile, presuppone di mantenere costante l’argomento del contrasto o di scoprire il vero problema che si nasconde sotto lo scontro. Il problema non è il conflitto, ma il modo in cui si confligge, che va trasformato e depurato dalle possibili contaminazioni distruttive alle quali la nostra cultura, intrisa di violenza.
Favola del lupo e dell’agnello
(Fedro)
Un lupo ed un agnello, spinti dalla sete, erano giunti allo stesso ruscello.
Più in alto si fermò il lupo, molto più in basso si mise l'agnello.
Allora quel furfante, spinto dalla sua sfrenata golosità, cercò un pretesto per litigare.
"Perché", disse, "intorbidi l'acqua che sto bevendo?"
Pieno di timore l'agnello rispose:
"Scusa, come posso fare ciò che tu mi rimproveri? Io bevo l'acqua che passa prima da te".
E il lupo, sconfitto dall'evidenza del fatto, disse:
"Sei mesi fa hai parlato male di me".
E l'agnello ribatté: "Ma io sei mesi fa non ero ancora nato!"
Il lupo, arrabbiatissimo: "Allora fu tuo padre a parlare male di me". E subito gli saltò addosso e in quattro e quattr'otto lo divorò.
"I prepotenti calpestano i deboli con falsi pretesti.
Chi è dalla parte del giusto talvolta non può nulla contro chi è più forte".
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