Noi: uno, nessuno e centomila
di Antonio De Simone
Da "Uno, nessuno e centomila" di Luigi Pirandello, sviluppo una relazione sulle varie tematiche presentate
dall’autore in questo romanzo. Tematiche, queste, che riguardano aspetti
psicologici dell’uomo, andando a determinare ciò che è una frantumazione o
scomposizione nell’individuo del proprio io. L’io che nel protagonista, dopo un’autoanalisi di fronte allo specchio, si ritrova a viverne
una crisi di identità.
Il protagonista, Vitangelo
Moscarda, nel tentativo di conoscersi, si apre nella propria coscienza,
ritrovandosi in uno stadio di pazzia. È lui stesso, ad un certo punto del
racconto, ad avere consapevolezza che i suoi ragionamenti lo stanno facendo
iniziare a precipitare nella follia e folle, viene definito da costoro che non
lo riconoscono più in quell’immagine che gli avevano dato e che avevano di lui.
Si arriva così anche a parlare di ciò che possono essere le varie forme che un
individuo assume nella società, spaziando anche da quelle che sono le realtà
oggettive, a quelle che sono le realtà soggettive, facendoci notare come
l’identità di una persona, in realtà non puó essere mai interpretata in modo
univoco nello stesso senso. Anche se il libro fu finito di scrivere nel 1925,
questi concetti prendono piede e si possono riscontrare nell’odierna società
dell’uomo moderno, in quanto vi si riesce a comprendere come le persone sono
condizionate ad assumere aspetti diversi in base all’ambiente e alle persone
circostanti, indossando per ciascuno di essi una cosiddetta maschera. Un
personaggio il Moscarda che finisce in un profondo dissesto psicologico,
avvertendo in sé un vuoto esistenziale, così che non riesce più a vedersi
vivere. D
opo avere appreso di sentirsi diverso da quello che aveva creduto di essere fino a quel momento e di non poter riuscire neanche a sapere chi è veramente lui stesso, si rende conto di essere nello stesso tempo nessuno, risolvendosi poi nel trovare serenità e pace nell’unico posto dove dice, non si indossano maschere, ossia nella natura, divenendone un tutt'uno con essa stessa. Dopo aver trovato ricovero in un ospizio, rifiuta ogni forma di identità e si lascia andare al puro fluire della vita.
opo avere appreso di sentirsi diverso da quello che aveva creduto di essere fino a quel momento e di non poter riuscire neanche a sapere chi è veramente lui stesso, si rende conto di essere nello stesso tempo nessuno, risolvendosi poi nel trovare serenità e pace nell’unico posto dove dice, non si indossano maschere, ossia nella natura, divenendone un tutt'uno con essa stessa. Dopo aver trovato ricovero in un ospizio, rifiuta ogni forma di identità e si lascia andare al puro fluire della vita.
Tutto parte da un commento da
parte di sua moglie Dida, la quale vedendolo intento a guardarsi allo specchio,
gli fa notare come il suo naso in realtà penda un po’ a destra. Da quel
momento in Vitangelo Moscarda, detto Gengè da sua moglie, inizia a sorgere una
destabilizzazione della sua persona, di chi fosse stato lui fino a quel momento
per se stesso e chi credevano gli altri, lui potesse essere. “Possiamo conoscere solo
quello a cui riusciamo a dar forma. Ma che conoscenza può essere? E forse
questa forma la cosa stessa? Sì, tanto per me quanto per voi; ma non così per me
quanto per voi: tanto vero che io non mi riconosco nella forma che mi date voi,
né voi in quella che vi do io; e la stessa cosa non è uguale per tutti e anche
per ciascuno di noi può cangiare, e difatti cangia di continuo.”
Con questa affermazione
tratta dal romanzo, Vitangelo Moscarda, ci fa capire come si sia radicato forte
in lui il pensiero ch’egli non era per gli altri, quel che finora, dentro di
sé, s’era figurato d’essere e né tanto meno riusciva a riconoscere se stesso
dopo che si rese conto anche, che il padre, che gli aveva lasciato in eredità
la banca, il Moscarda, Vitangelo, realizzò il fatto che suo padre era un
usuraio, quindi si rese conto che anche lui era considerato un usuraio dalla
gente ed era così che iniziò a pensare che lo definivano, lui a questo non
c’aveva mai pensato. Così che egli va ad inscenare una serie di azioni
per cui la gente lo inizia a considerare un folle. Lo scopo di questo per
Moscarda era di voler distruggere queste loro errate convinzioni, riconoscendo
la follia come un altro modo di stare al mondo. Pirandello qui ci fa notare
anche il principio delle forme, ossia che, fino ad allora Gengè, si, era uno in
se stesso, per come s’era visto lui fino a quel momento, ma anche centomila in
base alla realtà soggettiva di tutte le persone che aveva attorno, in quanto
ciascuno di essi per proprio conto gli dava una forma, ossia ciascuno aveva
un’immagine di lui e tutte completamente diverse l’una dall’altra. C’è da dire
quindi che non esiste solo la realtà oggettiva, della sola forma che l’io dà a
se stesso, ma nella società esistono anche le forme che ogni io dà a
tutti gli altri.
“Così volevo io esser solo.
Senza me. Voglio dire senza quel me che io già conoscevo, o che credevo di
conoscere.”
Moscarda si rende conto di
queste sue fissazioni e se ne riconosce un principio di follia, cerca di
restare da solo concludendo che questo si riesce a fare soltanto in un contesto
dove, sia il luogo, che chi ci circonda, debbano essere estranei a noi.
L’autore nel presentarci l’autoanalisi che fa il protagonista del romanzo, nel
tentativo di conoscere la propria identità, fa comparire anche poi la figura
dello specchio simbolo dell’io davanti a se stesso, che gli fa apprendere che
oltre ad essere tante persone diverse per gli altri, egli stesso non sa in
fondo chi è veramente e all’interno del romanzo, l’autore vuole anche riuscire
a far mettere il lettore al livello di Moscarda, diventando non solo testimone
della storia di Gengè, ma anche facendogli fare un’analisi della propria storia
e come Vitangelo, porlo come se fosse anche lui, il lettore, davanti ad uno
specchio.
“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”
Con quest’altro pensiero è
importante riflettere su ciò che Pirandello ha voluto esprimere riguardo alla
molteplicità delle forme, in quanto come già espresso prima, che le persone non
sono sempre come appaiono e non sono le stesse per tutti coloro che le
circondano, è significativo capire come ciascun individuo in base al contesto
in cui si trova, va ad assumerne una forma, che Pirandello definisce con il
termine maschera. Siamo noi stessi che inseriti in un determinato contesto o
nella società stessa, ci assegniamo una maschera, obbligandoci a comportarci
secondo schemi ben definiti che accettiamo per pigrizia o convenienza anche
quando contrastano con la nostra natura.
Oltre la crisi dell’io
l’autore dà un’idea su ciò che è anche la crisi della società che si ritrova
nel conflitto fra gli uomini, andandone ad identificare le cause nel fatto che
ogni persona vuole imporre la propria visione di sé e degli altri che come nel
romanzo, la gente, non riusciva a capire quello che passava per la testa di
Vitangelo.
Moscarda si ritira in fine in
un ospizio che lui stesso ha donato alla città ritrovandosi fuori dal mondo e
lontano dalle persone, in un luogo dove sente di poter abbandonare le
molteplici maschere che la società gli aveva imposto. Ciò che fa è di meditare
nella natura, ricreandosi una profonda e quasi mistica identificazione in essa
per cui conclude il romanzo con queste parole: “muoio ogni attimo, io, e
rinasco nuovo e senza ricordi: vivo e intero, non più in me, ma in ogni cosa
fuori.”
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