Addiction news: parola agli esperti
Dal Corriere della Sera, 14 febbraio 2019
La droga e i nostri ritardi di Antonio Polito
C’è una nuova emergenza droga tra gli adolescenti.
L’inchiesta del Corriere lo sta testimoniando oltre ogni dubbio.
L’eroina è tornata, ma è diversa per qualità e costo. Nuove sostanze hanno
creato nuovi consumatori. Sempre più spesso i ragazzi non sanno neanche bene
che cosa stanno assumendo, e per questo la soglia di percezione del rischio si
è abbassata. In termini medici sono definite «poliassunzioni», ma i giovani le
chiamano il «mischione», mix di droghe più o meno pesanti, fumate, ingerite o
iniettate.
Le norme che regolano il sistema della prevenzione e dell’assistenza risalgono
agli anni 90 del secolo scorso, e furono scritte per un fenomeno del tutto
diverso. Nuovi problemi emergono, e richiedono una riflessione seria e senza
preconcetti.
1) I ragazzi che si drogano hanno bisogno di un aiuto prima che sia troppo
tardi. La loro salvezza è questione di tempo. E invece la prima rete di
intervento sul territorio è debole, con poche risorse, spesso inadatta ai più
giovani. I Serd (Servizi per le dipendenze patologiche) non sempre
sono la porta d’ingresso migliore per chi incontra le droghe per la prima
volta, e questo al di là dell’impegno e della dedizione con cui tanti operatori
lavorano. Tarati sulla gestione dei tossicodipendenti cosiddetti «cronici», di
lunga durata e di età matura, «gestiti» con il metadone, ai nuovi arrivati non
possono offrire molto di più che un colloquio psicoterapeutico e dei farmaci.
Pur erogando direttamente servizi di assistenza, i Serd regolano e controllano
anche la spesa sanitaria presso operatori privati come le comunità
terapeutiche, e per questo tra i due sistemi si può creare diffidenza e
incomprensione.
2) L’ingresso in comunità per gli adolescenti è difficile, e il processo è
troppo lento. Se un medico prescrive un periodo anche breve di ricovero, perché
l’Asl riconosca la spesa la famiglia deve ingaggiare un avvocato. Il potere di
decidere è di fatto affidato a una complessa procedura amministrativa; oppure,
ma quando le cose sono già precipitate, al giudice minorile. Le comunità adatte
ai più giovani sono poche e piene, e le Regioni che pagano privilegiano quelle
sul proprio territorio, riducendo così ancora di più la disponibilità
complessiva. Il paradosso oggi è questo: se mio figlio si ammala, posso
portarlo in qualsiasi ospedale d’Italia per curarlo. Se comincia a drogarsi,
non tocca a me decidere se, quando e dove potrà essere curato.
3) La «residenzialità», anche solo diurna, che spezza il legame con l’ambiente
«tossico», è essenziale, perché drogarsi è un fenomeno sociale e culturale, non
solo sanitario. Chiama in gioco una trama di rapporti. Ha un suo rito
simbolico, che si svolge intorno alla sostanza. Richiede dunque un intervento
educativo, che separi il giovane dalla dipendenza dal gruppo e dai luoghi dello
spaccio, oltre che dalla droga. La sostanza è irresistibile. Innumerevoli sono
i casi di disintossicazioni riuscite che finiscono in ricadute non appena il
ragazzo torna a contatto con i contesti di attrazione e di disponibilità, come il
boschetto di Rogoredo a Milano, il girone infernale raccontato dall’inchiesta
del nostro Gianni Santucci.
4) I genitori non sanno che fare. Sono disperati. Uno di loro ha raccontato sul Corriere a
Elisabetta Andreis qualcosa che può apparire terribile, ma è invece esperienza
comune. Andare in comunità è così difficile che molti padri e madri sperano
con tutto il cuore che i loro figli siano fermati e processati per un reato.
Certe volte li denunciano addirittura. È l’unico modo perché sia un giudice
minorile, verificata la pericolosità per gli altri, a disporne il ricovero in
comunità.
5) Tra le dipendenze (i Serd si occupano anche di quelle da alcolismo,
ludopatia, Internet) e le sindromi c’è un sottilissimo confine. Anzi, molti
studi dicono che l’uso di sostanze, a partire dalla marijuana, è prima di tutto
un indicatore di disagio psichico. Però in Italia i canali di cura sono
separati, e le strade tra i Serd e i servizi psichiatrici si incontrano solo
nel caso delle cosiddette «doppie diagnosi», ragazzi con problemi psichici e
dipendenza insieme (come Pamela, uccisa un anno fa a Macerata). In alcune
regioni, come la Lombardia, si sta infatti sperimentando un coordinamento tra
Serd e servizi psichiatrici.
6) C’è poi il problema enorme e delicatissimo di come
convincere-spingere un adolescente a curarsi. I ragazzi fino un certo punto
sono sicuri di farcela ancora, e poi diventano sicuri di non potercela fare mai
più. Come e dove possono incontrare una persona, un salvagente umano, che
tocchi loro il cuore e mostri che una strada c’è? Come può la potestà
genitoriale favorire questo processo, senza ledere la libertà del minore? La
questione interpella anche la sensibilità dei giudici e dei tribunali, ma richiede
una rivisitazione delle norme. È possibile che un padre debba sperare che il
figlio compia un reato per poterlo ricoverare in comunità? Queste evidenti
lacune del sistema, alle prese con problemi del tutto nuovi, e altre ancora
(come il marketing e il business sempre più aggressivo connesso alla produzione
e alla diffusione delle droghe cosiddette leggere, di cui negli Usa anche
ambienti liberal e antiproibizionisti cominciano a preoccuparsi seriamente)
richiedono una profonda riconsiderazione. Non a caso la legge del ‘90 prevedeva
una Conferenza nazionale sulle droghe da tenersi ogni tre anni per verificare
con operatori, esperti e poteri pubblici come stessero andando le cose e quali
cambiamenti si rendessero necessari. Quella Conferenza non si tiene invece da
undici anni. Crediamo che debba essere finalmente convocata di nuovo. In realtà
la confusione di competenze è tale che non sappiamo neanche bene a chi
chiederlo.
Il Dipartimento per le politiche antidroga è presso la presidenza del
Consiglio, ma la prevenzione dagli anni Duemila spetta alle Regioni, le quali
però hanno dovuto nel tempo tagliare sempre più i budget. Alla Salute c’è un
ministro che si è schierato a favore della legalizzazione delle droghe leggere,
e in ogni caso nel nostro ordinamento ha competenze in materia assai limitate.
La delega fu passata anni fa al Welfare, che si occupa di assistenza. Ma da
qualche tempo è stata data alla Famiglia, intesa come ministero. Perché non
resti sulle spalle della famiglia, intesa come nucleo familiare dei ragazzi
tossicodipendenti, pensiamo dunque di dover rivolgere questo appello al
ministro Fontana, sperando che ci ascolti.
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