Le scorciatoie pericolose
di Salvatore Monaco
Credevo tanto nella lealtà sportiva da giovane. Credevo nei
valori dello sport e rispettato chi si allenava tutti i giorni per fare sport
agonistico. Molti dei miei amici infatti giocavano a calcio nelle categorie
dilettantistiche e si allenavano con frequenza. Io appartenevo a quella
categoria di persone che faceva sport per hobby, un giorno sì e cento no. 
Facevo sport per passione ogni morte di papa, nonostante la natura non mi
avesse dotato di talento e coordinazione. Ma l'estate del 1993, rientrato da Roma
dove frequentavo la facoltà di psicologia, mi dedicai ad una passione
improvvisa accesa in me da un amico che viveva a Milano, anche lui rientrato
nel mio paesello per le vacanza estive.
Ebbene quell'estate oltre al mare e
alle passeggiate serali con gli amici, la dedicai interamente ad allenarmi per
una gara podistica da svolgersi a fine agosto nei giorni della festa del Santo
protettore del paese. Mi alzavo tutti i giorni alle sei nonostante spesso
rincasavo alle tre, per allenarmi insieme al mio amico calabro/lombardo e ad
altri compagni che condividevano con noi questo bel progetto sportivo. Ci
allenammo tutta l'estate, tra risate e tanto tanto rispetto tra noi. Stavo bene
anche fisicamente, il goffo studente universitario, aveva acquisito sicurezza
e gamba per affrontare la temuta corsa a cui avrebbero partecipato atletici e
muscolosi ragazzi che ci avrebbero offuscato e letteralmente annientato, davanti agli occhi dei nostri parenti, amici e paesani tutti e perché no, delle
ragazze. 
Non avevo scampo e nessuna speranza alcuna per la competizione, ma
lavoravo duro e questo mi dava fiducia giorno per giorno. Arrivò il giorno
della maratona, ero carico, avevo appena vinto un gioco popolare e il morale
era a mille. Iniziammo la competizione, il paese era pieno di spettatori. La
corsa consisteva in 5 giri del paese . Ero insieme al gruppo dei miei amici che
si erano alleati con me tutta l'estate. ..partimmo bene. Davanti a noi tutti i
fustacci muscolosi che si allenavano tutto l'anno. Piano piano ci rendevano
conto che avevamo un ottimo passo. 
Al secondo giro molte dei ragazzi atletici ,
patiti a razzo convinti di fare della corsa un solo boccone, furono messi al
tappeto dal caldo e dai crampi. Man mano li trovavamo stesi per terra, altri a
vomitare. Ero fiero di me e dei miei amici che avevamo snobbato tutta l'estate
per arrivare a quella condizione fisica. Ma come in tutte le favole più belle non avevo fatto i conti con l'altra faccia della medaglia ossia la parte
squallida di questa storia. In un punto centrale del percorso cera un bar e nel
retro del bar una scala che collegava la parte inferiore con quella superiore
del percorso. Praticamente chi saliva da lì tagliava metà percorso della
corsa. E così i furbi, gli atletici "sportivi" iniziarono a tagliare dalla
scorciatoia giro dopo giro, davanti agli occhi di chi doveva fermarli, di chi
doveva farli squalificare perché da li non potevano passare ma che non fece
nulla. 
Li vedevamo entrare da quel bar ma mai avrei pensato che potessero
barare per una gara podistica in onore di un santo e che nessuno fermasse
quello schifo. Morale della storia, arrivammo al traguardo fieri e convinti
delle nostre posizioni da podio ma scoprimmo che avevamo distacchi importanti
da un gruppo nutrito di super atleti arrivati prima di noi al traguardo, gli
stessi atleti che avevamo lasciato per strada in preda a crampi e vomito. La
gente ignara, compreso qualche parente mi diceva: "lascia stare non è campo tuo,
chi te la fa fare, ci vuole gente portata a fare sport".
Ero pieno di rabbia,
tra quelle persone c'erano anche alcuni amici in cui credevo molto e che non mi
guardavano negli occhi alle mie domande sul perché di questo. Che bisogno c'era
di barare?
Perché hanno dovuto calpestare i valori veri dello sport e del
rispetto del prossimo? Non ebbi risposte anzi mi dissero che stavo esagerando e
che in fondo era solo una corsa. Però la sera successiva salirono a ritirare le
coppe durante la premiazione, mi chiedevo con quale faccia,con quale onore a
20/ 25 anni si può.
Ritirare un trofeo non vinto lealmente ma rubato? Ero
davvero arrabbiato, ma fiero di non aver mai preso quella scorciatoia che come
nella vita ti può portare in alto ma ti fa arrivare sporco e senza gloria al
traguardo, magari adulato e applaudito dagli ignari. Mi dava fastidio pensare a
quegli sguardi soddisfatti di chi si sentiva furbo di chi otteneva le cose col
minimo sforzo e senza impegno. Non partecipai più a ad altri eventi simili per
molti anni allontanandomi da tante cose che non condividevo .Ora dopo più di 25
anni penso che ho fatto bene ad allontanarmi da chi calpestava i valori in cui
invece credevo, sono fiero di non essermi mai identificato in chi ha continuato
a cercare quelle scale nascoste. 
Ringrazio i miei genitori per avermi insegnato
a correre sulla strada polverosa e lontana dai riflettori, ma onesta. Per alcuni
poteva essere solo una banale corsa, per me fu la metafora della mia vita.

 
 
 
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