Il dono di raccontare gli altri
di Salvatore Monaco
Considero l’approccio giornalistico di Katya Maugeri un dono,
una modalità speciale di arrivare alle persone. Con lo stile che la
contraddistingue, riesce ad imprimere dentro ad un foglio l’essenza delle cose.
Ho avuto modo di ammirare già l’autrice in un progetto di
scrittura autobiografica presso la comunità terapeutica in cui lavoro,
conosco il modo in cui sa relazionarsi con gli intervistati. Essendo io stesso stato intervistato da lei
sia per il sesto capitolo del suo libro, in cui si parla di tossicodipendenza
e anche nel suo reportage dello
scorso anno, "Detenuti e droga: le loro storie", posso dire che le sue armi non sono
solo tecniche giornalistiche, apprese nella sua formazione professionale, ma soprattutto il dono di saper
utilizzare e ascoltare le parole, contornate da un tono di voce caldo e accogliente, lontana dai blocchi della
comunicazione che molto spesso condizionano le interviste.
Le sue modalità di condurre una intervista invitano l’interlocutore ad aprirsi e a raccontarsi senza difese e censure, sentendosi libero di narrare. Come già sottolineato da altri illustri personaggi che hanno recensito il libro, la Maugeri ha il dono di saper soprattutto ascoltare, dote piuttosto rara al giorno di oggi.
Le sue modalità di condurre una intervista invitano l’interlocutore ad aprirsi e a raccontarsi senza difese e censure, sentendosi libero di narrare. Come già sottolineato da altri illustri personaggi che hanno recensito il libro, la Maugeri ha il dono di saper soprattutto ascoltare, dote piuttosto rara al giorno di oggi.
Il libro “Liberaci dai nostri mali”, edito dalla Villaggio Maori Edizioni, racchiude perfettamente
a mio avviso il concetto di dono, poiché costituisce in un doppio binario, un
dono per le persone intervistate e un dono per il lettore. Il dono per l’intervistato è quello di
abbandonarsi al racconto della propria storia, non per essere compatito, poiché
non è questa la finalità dell’autrice. L’intervistato permette di lasciare
uscire il mostro che ha dentro, condividendolo con l’intervistatrice, come una sorta di
abreazione, di scarica di emozioni legate a un evento traumatico rievocato dal
soggetto stesso, che va consegnata come una sorta di “confessione” liberatoria
a chi sta raccogliendola. È come se si aprisse una porta all’interno del
proprio mondo interiore che non solo rende visibile il mostro, ma lo
neutralizza , lo rende umano, lo spoglia della sua carica negativa. Leggere il libro è piacevole, le pagine
scorrono via velocemente in attesa della prossima ora d’aria o del prossimo
personaggio e del suo nomignolo.
Trovo molto positiva, infatti, l’idea di suddividere i capitoli in “ore
d’aria” poiché rende ancora di più l’idea che l’autrice sta cercando di
trasmettere ai lettori. Tra le varie “ore di aria” che si susseguono, la
descrizione dei vari intervistati, ognuno con un nomignolo diverso, dall’uomo
dal cappello di paglia all’uomo ombra. Ogni personaggio descritto racconta di
sé e delle sue debolezze, del mostro che ad un certo punto della propria vita
ha preso il sopravvento, ma anche delle speranze e degli obiettivi per il
futuro e delle risorse scoperte in carcere e messe a disposizione di altri,
come nel caso dell’”uomo usignolo”. Dare rilievo all’anima dei personaggi, è
questo che mi arriva dai vari capitoli letti. Appare emblematico il racconto
dell’uomo ombra, che lascia veramente trasparire le perplessità e le incertezze
di un futuro sempre più precario, condizionato dal mostro del passato e che
continuerà ad incidere nei rapporti sociali, dove sarà difficile
de-stigmatizzare una vita fatta di errori.
Ma in ogni personaggio raccontato nel libro, da quello prossimo alla
scarcerazione o da chi probabilmente non uscirà più, emerge la
ricerca del cambiamento, il volgere spontaneo verso la riparazione.
L’autrice descrive in maniera davvero
caratteristica, l’altro lato della personalità del detenuto, quello
meramente umano, fatto di emozioni, vissuti, speranze per il futuro, voglia di
rimediare agli errori del passato.
Ringrazio la Maugeri per aver fatto cogliere al lettore
questo aspetto, non sempre scontato e
non il solito stereotipo sociale.
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