La 25° ora, determinarsi al buio



di Andrea Bruzzi

Mi sembrava buffo, a tratti caricaturale, quell’omino esile, vissuto e consumato come un vecchio cerino. Mi incuriosiva la sua andatura, incerta, discreta. 
Eppure tutte queste sensazioni quasi di compassione - dunque legate quasi ad una simpatia mascherata da empatia - erano altalenanti nella mia testa, perché conoscevo abbastanza bene l’utente che si apprestava ad entrare in comunità e conoscevo abbastanza bene il suo vissuto. Sapevo che, associato a quello stile personale tanto curioso, aveva di riflesso un atteggiamento tanto contrastante ed oscuro. Sicuramente negativo. Come se avesse un “alter ego”, un doppio io che nascondesse la parte peggiore e tendesse ad enfatizzarne quella positiva. Alcuni giorni dopo il suo ingresso in comunità, nelle ore nelle quali generalmente i nuovi utenti provano a stabilizzarsi ed ambientarsi, mi sembrava talmente strano che lui avesse già allestito la sua postazione letto come se fosse l’ultimo posto nel quale trascorrere la sua vita. Tutto era minuziosamente collocato in ordine, un ordine con dei parametri certamente bizzarri, come se avesse avuto mesi per allestire i suoi spazi. 
La sua età suggeriva una certa esperienza di vita, che fosse di strada o che fosse semplicemente saper stare al mondo; però ero colpito da quanta precarietà mi trasmetteva, da quanto poco senso potesse dare alla sua precedente vita, da rifugiarsi a pieni polmoni in un posto a lui estraneo ma familiare contemporaneamente. Fu in quell’occasione che associai il concetto di ingresso in comunità ad un film che avevo visto diverse volte: la 25° Ora.

Sebbene l’idea del film tocchi delle corde diverse dall’ambito con cui mi stavo relazionando, fu subito chiaro che il tema ricorrente di esperienze del genere era la mancanza della capacità di “determinarsi”, intesa come passività morale e come assenza di posizione nei confronti di situazioni di carattere etico. Il concetto di bivio, di opportunità, va elaborato in chiave realistica, senza subirlo, ma assecondando il corso naturale delle circostanze con un punto di vista critico e costruttivo. L’utente che avevo di fronte presentava chiaramente tutte le caratteristiche che stavo cercando e anche il suo stile di vita era un chiaro esempio di come la tempistica delle scelte e nelle scelte rappresenti il crocevia esistenziale dell’individuo. Nel film, il protagonista potrebbe non essere solo la figura centrale (appunto il protagonista) bensì tutti gli elementi che contribuiscono alla costruzione della sua persona: le circostanze, gli amici, il suo passato, gli errori, le speranze, il cambiamento. 
E non ultimo, il tempo. L’assenza del concetto e della valenza del tempo racchiude la possibilità di determinare se stessi, di concepirsi come parte integrante del cambiamento proprio perché il tempo ci concede la possibilità di morire e rinascere, ricostruirci ed imparare dal passato e non ultimo, dagli errori. Nel parallelismo con la tossicodipendenza e con l’istituzionalizzazione, il tempo diviene la chiave di lettura forse più attendibile. Esso ne determina la durata del problema, contribuisce allo sviluppo ed ai progressi, ne sottolinea i fallimenti e lascia la possibilità sia di sognare che di essere parte attiva del cambiamento. 
Il tempo in comunità è scandito da ritmi imposti, a volte personalizzati, ai quali è delegato lo scorrere di 24 h della vita, senza- il più delle volte- capirne la grande morale ed il grande insegnamento che offre ad ognuno: la possibilità di strutturare una personale biografia, intesa come auto-anamnesi ed intesa come riflessione. Nel film la 25° Ora, nessuno ne esce pulito. Nessuno utilizza il tempo e la responsabilità come armi per combattere un problema, sia esso (nel nostro caso) la tossicodipendenza, o nella trama del film stesso, la certezza di finire in carcere per, ironia della sorte, un periodo X della vita. L’assenza di organizzazione personale, nei tempi e nei modi, non segue un prontuario come riferimento e non è funzionale ad attualizzarsi nel problema. Spesso, l’ingresso in comunità avviene per necessità, voglia di riscatto, bisogno di dimostrare e a volte semplicemente rifugiarsi. Trasferire tutto il proprio mondo in un “non luogo” come lo è la comunità t, per quanto emerso dalle circostanze all’inizio del mio racconto, mi faceva pensare e mi faceva anche paura, proprio perché avevo ed ho la convinzione che si inizia un percorso di recupero senza- paradossalmente- il concetto di tempo, senza stabilire a priori un inizio ed una fine.

Questo perché credo si debba chiedere ad un posto del genere di avere cura di noi stessi per un tempo indefinito, purché sia sufficiente a darci delle risposte. Lasciare il vissuto, chi eravamo, i ricordi- belli o brutti, spersonalizza l’individuo e ci da l’illusione di riuscire nell’impresa più estrema della nostra esistenza: scappare da noi stessi. In questo, parallelamente al film, vedo l’esigenza di determinarsi. Avere consapevolezza. Una delle chiavi di lettura fondamentali del film, e concludo, è capire l’esistenza della 25° ora della giornata. L’ora che non esiste, che avresti voluto, che non ti è mai bastata, che hai sprecato. L’ora in cui fai i conti con te stesso, ne accetti i limiti, ti guardi allo specchio. L’ora in cui capisci se il tempo che hai ti basta, lo stai sprecando oppure è quella in cui ti assumi le responsabilità.

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