Falcone, per non dimenticare. Ripartiamo dalle parole dei testimoni




di Katya Maugeri
(articolo pubblicato su SiciliaNetwork)

Sono trascorsi ventisette anni da quel 23 maggio 1992.

Il più importante processo alla mafia fu quello portato avanti da uomini come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, attraverso un rivoluzionario metodo investigativo: riuscirono a dimostrare che la mafia era lì, sotto gli occhi di tutti, che esisteva davvero, e che il silenzio serviva solo a lasciarla camminare velocemente, la mafia esisteva e si nutriva di omicidi, compromessi, paure dei cittadini e collusioni politiche. Dovremmo ripartire dalle parole, dalle testimonianze che durante questi lunghi anni di misteri, depistaggi e contraddizioni, hanno fornito un nuovo punto di partenza con la stessa destinazione: ricercare la verità.

Giovanni Falcone quel 23 maggio era rientrato in Sicilia. Ad aspettarlo, al chilometro 5 della A29 vicino lo svincolo di Capaci-Isola delle Femmine, una carica di cinque quintali di tritolo, posizionata in una galleria sotterranea, innescata dal sicario Giovanni Brusca. Lo schianto contro il muro di asfalto. Giovanni Falcone morirà dopo numerosi tentativi di rianimazione. Un boato che causò la morte del giudice Giovanni Falcone, della moglie Francesca Morvillo e di tre uomini della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, e non ha mai smesso di echeggiare nei cuori dei tanti cittadini che hanno perso, quel giorno, un importante punto di riferimento e la speranza, conoscendo realmente il potere di questa mafia – quella sanguinaria -, la mafia che non accetta intromissioni.
La memoria diventa un atto doveroso per rendere giustizia alle nostre coscienze, per ricordare che durante questi anni la mafia ha solo cambiato postazione e guarda ai suoi progetti da prospettive alte e prestigiose. Non ha smesso di esercitare terrore, lo dimostrano le continue minacce rivolte ai giornalisti che giornalmente raccontano la realtà mafiosa.
Ricordare è un dovere anche se ricordare quel pomeriggio è sempre un pugno al cuore. Si rimane attoniti dinanzi alla crudeltà dell’uomo, alla freddezza d’animo che disarma e spaventa. Ma la paura è nemica, quindi occorre voltare lo sguardo coraggiosamente a quel pomeriggio, quando su una di quelle tre auto viaggiava un uomo coraggioso, che aveva scelto il percorso più arduo, quello di ricercare le verità scomode che insanguinavano la nostra terra.
Il 23 maggio non è solo commemorazione, dovrebbe indicare un punto di partenza per la lotta contro la mafia e dobbiamo intraprendere questa lotta promuovendo la cultura alla legalità e non solo partecipando a eventi annuali, ma offrendo validi esempi da seguire adoperando i mezzi a disposizione, nella vita di tutti i giorni.

Il desiderio di legalità è il nostro pensiero quotidiano che prende forma attraverso la devozione alle nostre idee, al progetto di un cambiamento, scegliendo di non tacere e di non voltare lo sguardo nella prospettiva più semplice da seguire. Giovanni Falcone era un uomo che dimostrò che la mafia è ambiziosa, presente, viva e si nutre della paura di ognuno di noi, quella paura che ci tiene prigionieri di un’omertà che dirama, e noi invece combattiamola – quotidianamente – con la parola, con le nostre idee ad alta voce, senza lasciare a loro il potere di sottrarle, perché gli uomini coraggiosi come lui sono riusciti a donarci una preziosa eredità, l’informazione, rivelandoci che il silenzio, anche il silenzio in fondo, è mafia.


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