Dam un bes, quando il bisogno d’amore non ha prezzo
di Salvatore Monaco
Il 27 febbraio è uscito nelle sale cinematografiche
italiane, il film “Volevo
nascondermi”, che racconta la vita de
pittore e scultore italiano Antonio Ligabue, interpretato magistralmente
dall’attore Elio Germano. Ero davvero piccolo quando vidi in tv la miniserie
televisiva sulla vita dello strambo pittore italiano, interpretato allora
dall’attore Flavio Bucci, scomparso recentemente.
Ricordo di essere rimasto molto colpito dalla sua storia, non capivo perché venisse preso in giro e maltrattato dagli altri, nello sfondo della campagna emiliana, alcune scene dello sceneggiato mi crearono rabbia poiché rivedevo in esse forme di bullismo che purtroppo erano visibili anche a scuola. Odiavo le scene in cui ragazzi e adulti suoi paesani, lo tormentavano con scherzi e cattiverie varie, come mettergli escrementi di cane nella scodella del cibo o provocarlo fino a farlo esplodere di rabbia. Antonio Ligabue era un uomo semplice, fragile e vulnerabile, costantemente privo di un posto nel mondo, spaesato, costretto a lasciare la Svizzera in cui era cresciuto, a causa delle sue turbolenze psicologiche, per trasferirsi nella pianura emiliana da suo padre biologico. Diventò ben presto lo scemo del villaggio, il fenomeno da baraccone su cui si accanivano i bulli per scaricare le propria vigliaccheria e ignoranza come succede purtroppo ancora oggi in molte parti del mondo, in cui rendere la vita impossibile ad una persona con dei problemi fisici e /o psicologici , diventa spesso uno sport nazionale di cui “vantarsi”, documentare e condividere sui social. Antonio viene ben presto emarginato, deriso, beffeggiato per il suo linguaggio misto di tedesco ed emiliano e le sue bizzarrie da psicotico. Ma nonostante il suo fare sgraziato e problematico lui è fiero di essere un artista, capace di scaricare sulle sue tele il suo complicato e tormentato mondo interiore, intriso di sofferenza, di perdite, di maltrattamenti, pronto anche distruggerle davanti ad una frustrazione. Entra ed esce diverse volte da istituti manicomiali a causa dei suoi comportamenti auto ed etero aggressivi, ma questo non gli impedisce di realizzare importanti ed coloratissime opere, apprezzate sempre di più in modo esponenziale, un arte che sembra esprimere la sua impossibilità di poter amare, di poter comunicare in modo sano e appropriato o meglio ostacolato anche dalla cattiveria di chi si prende burla di lui anziché sostenerlo, accompagnarlo verso una vita la più vicina possibile alla normalità. Quando non era rinchiuso dentro le strutture contenitive, era solito vagare per le campagne e quando incontrava qualcuno sulla sua strada era solito chiedergli un bacio, a causa proprio della sua grande fame di affetto, come succede a molti pazienti con turbe psicotiche, che elemosinano spesso in modo compulsivo un briciolo di normalità. A tal proposito lo storico gruppo musicale “I Nomadi”, nei primissimi anni 90, ha a lui dedicato un brano intitolato “Dam un bes” ( dammi un bacio in dialetto emiliano).
Ricordo di essere rimasto molto colpito dalla sua storia, non capivo perché venisse preso in giro e maltrattato dagli altri, nello sfondo della campagna emiliana, alcune scene dello sceneggiato mi crearono rabbia poiché rivedevo in esse forme di bullismo che purtroppo erano visibili anche a scuola. Odiavo le scene in cui ragazzi e adulti suoi paesani, lo tormentavano con scherzi e cattiverie varie, come mettergli escrementi di cane nella scodella del cibo o provocarlo fino a farlo esplodere di rabbia. Antonio Ligabue era un uomo semplice, fragile e vulnerabile, costantemente privo di un posto nel mondo, spaesato, costretto a lasciare la Svizzera in cui era cresciuto, a causa delle sue turbolenze psicologiche, per trasferirsi nella pianura emiliana da suo padre biologico. Diventò ben presto lo scemo del villaggio, il fenomeno da baraccone su cui si accanivano i bulli per scaricare le propria vigliaccheria e ignoranza come succede purtroppo ancora oggi in molte parti del mondo, in cui rendere la vita impossibile ad una persona con dei problemi fisici e /o psicologici , diventa spesso uno sport nazionale di cui “vantarsi”, documentare e condividere sui social. Antonio viene ben presto emarginato, deriso, beffeggiato per il suo linguaggio misto di tedesco ed emiliano e le sue bizzarrie da psicotico. Ma nonostante il suo fare sgraziato e problematico lui è fiero di essere un artista, capace di scaricare sulle sue tele il suo complicato e tormentato mondo interiore, intriso di sofferenza, di perdite, di maltrattamenti, pronto anche distruggerle davanti ad una frustrazione. Entra ed esce diverse volte da istituti manicomiali a causa dei suoi comportamenti auto ed etero aggressivi, ma questo non gli impedisce di realizzare importanti ed coloratissime opere, apprezzate sempre di più in modo esponenziale, un arte che sembra esprimere la sua impossibilità di poter amare, di poter comunicare in modo sano e appropriato o meglio ostacolato anche dalla cattiveria di chi si prende burla di lui anziché sostenerlo, accompagnarlo verso una vita la più vicina possibile alla normalità. Quando non era rinchiuso dentro le strutture contenitive, era solito vagare per le campagne e quando incontrava qualcuno sulla sua strada era solito chiedergli un bacio, a causa proprio della sua grande fame di affetto, come succede a molti pazienti con turbe psicotiche, che elemosinano spesso in modo compulsivo un briciolo di normalità. A tal proposito lo storico gruppo musicale “I Nomadi”, nei primissimi anni 90, ha a lui dedicato un brano intitolato “Dam un bes” ( dammi un bacio in dialetto emiliano).
In questa frase si nasconde un disperato bisogno di amore autentico
che nemmeno il successo conseguito e i soldi guadagnati ad un certo punto della
sua tormentata esistenza, grazie alle sue opere, gli permise di conquistare. Antonio, come
tanti uomini con le sue caratteristiche psicologiche e comportamentali, voleva
nascondersi ma cercava un briciolo di amore impossibile da comprare con i soldi
e il successo.
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