Assunti di base, nevrosi da guerra e whatsApp: quando la tecnologia ci viene in soccorso


di Salvatore Monaco

Riflettevo da un po’ di giorni su  come il mondo della tecnologia, che fino a poco tempo fa condannavamo un po' tutti per i suoi eccessi, per rischi di  dipendenza che può avere su ognuno di  noi, sia diventato improvvisamente, con la diffusione della pandemia da Covid-19, lo snodo cruciale per mantenere vive tutte le nostre relazioni, sociali, familiari, lavorative.     

Medici e operatori sanitari, eroi in prima linea in questo periodo tremendo, hanno dovuto utilizzare le videochiamate per far rendere l’estremo  saluto  alle  famiglie dei pazienti che stavano morendo e non li avrebbero più potuto rivedere. Momenti drammatici, forti, che difficilmente gli operatori sanitari potranno scordare, che porteranno con se per il resto della propria vita. Solo a pensarci mi viene un nodo alla gola. Il disturbo post traumatico da stress accompagnerà molte figure professionali per un bel po’ di anni, un po’ come reduci del Vietnam, ci si sveglierà di colpo nella notte sopraffatti dagli incubi  o ricordi dolorosi  improvvisi. Il disturbo post traumatico da stress è l’insieme di forti esperienze psicologiche conseguenti ad un evento traumatico, catastrofico, denominato anche nevrosi da guerra. Ebbene di guerra stiamo parlando, quella affrontata contro un nemico invisibile e subdolo che colpisce, oltre il nostro organismo,  le cose più belle e preziose della nostra esistenza, i nostri affetti, la nostra libertà, la voglia di interagire gli uni con gli altri, perché l’uomo è un animale gregario, non può evitare di essere un membro di un gruppo.   Ognuno di noi  appartiene a gruppi, familiari, politici, sportivi, religiosi. Con l’avvento dei social tutti facciamo parte di un gruppo, dal gruppo “mamme”, al gruppo calcetto, al gruppo compagni di liceo etc etc. Vorrei soffermarmi su questo ultimo gruppo, il famigerato gruppo scuole superiori, che ha dato a molti la possibilità di ritrovarsi dopo tantissimi anni in cui non si avevano più contatti. Ma ritrovarsi da adulti, oltre alla gioia, si celano  anche molte insidie e dinamiche che meritano un piccolo e giocoso approfondimento. Bisogna dire che con la maggior parte dei membri del gruppo liceo, ci si è lasciati, una volta acquisito il diploma,   adolescenti, in una fase in cui molti eravamo cantieri aperti per quanto concerne la struttura della personalità. Alcuni erano maturati precocemente, altri  fluttuavano ancora in un limbo in cui non si poteva assolutamente delineare la personalità futura. Ritrovarsi dopo quasi trenta anni è sta sicuramente una esperienza forte  che non tutti  però sono spesso disponibili ad accettare. Sono tre anni che condivido ormai le giornate con i miei compagni di classe del liceo, per meglio dire, con i reduci, dato che dai 33 effettivi, si è rimasti man mano, tra irrintracciabili e abbandoni progressivi, circa in nove. 
Le esperienze di gruppo, reali o virtuali come quelle dei social, permettono di osservare le caratteristiche sociali, politiche di ciascuno di noi.   Frequentare un gruppo social, in cui si condividono emozioni, paure, gioie, diventa, a mio avviso molto simile ad una reale esperienza di gruppo, qualunque esso sia. I drastici e drammatici cambiamenti generati dal covid-19 lo hanno confermato, le emozioni in gioco sono sempre quelle, che siano vissute direttamente o purtroppo, vissute da dietro un display.  Lo psicanalista Bion, esperto di gruppi,  sosteneva che nessuna persona, per quanto isolata, può essere marginale rispetto a un gruppo. Le teorie di Freud ci mostrano la grande importanza del gruppo familiare nello sviluppo di ciascuno di noi. I contributi della psicanalista  Melanie Klein, sulle ansie psicotiche e sui primitivi meccanismi di difesa, fanno capire che ognuno di noi,  non solo appartiene sin dalla nascita a un gruppo familiare, ma che le sue primissime esperienze con le persone che lo circondano hanno decisiva importanza per il suo ulteriore sviluppo. Le ansie psicotiche insorte in rapporto ai primi oggetti relazionali sono riattivate in molte situazioni adulte. L’uomo è un animale sociale confrontandosi con gli altri, sperimenta una  contraddizione: il confronto con il gruppo determina la perdita di individualità, frutto di una regressione inconscia. Il gruppo può essere causa quindi  di grandi frustrazioni per i suoi componenti. Contemporaneamente, però, ognuno di noi è attratto verso la socializzazione poiché, grazie al gruppo, può sperimentare il senso di appartenenza e soddisfare parte dei propri bisogni materiali e psicologici. Nei gruppi gli individui sperimentano, quindi, due tipi di attività e di stati mentali: uno cosciente e razionale, l’altro incosciente e pulsionale. Il primo è definito “gruppo di lavoro” ed è legato al conseguimento di traguardi concreti, esplicitamente dichiarati in vista del raggiungimento di un determinato risultato. In un gruppo social ben consolidato esistono risultati che vengono inseguiti, così come in un gruppo vero e proprio. Nel caso del gruppo ex liceali, l’obiettivo è sicuramente lo stare bene insieme, condividere delle normali esperienze di vita tra persone che avevano conosciuto in passato solo una parte di ogni altro compagno, persone che grazie a questo strumento di tanto in tanto riescono anche  a ritrovarsi per una pizza o un aperitivo. Non sempre si va d’accordo, spesso capita che il punto di vista di uno non coincida con quello di altri, che ci sia rabbia, gelosie varie, critiche, ma questo capita anche nella realtà e le dinamiche emotive tendono sovente  a prendere il sopravvento. Ogni membro del gruppo ha determinate caratteristiche che lo rendono eterogeneo e che spesso, così come nella realtà genera sottogruppetti. Ho partecipato a molte esperienze di terapia di gruppo poiché ho conseguito anni fa la specializzazione in psicoterapia analitica di gruppo e posso dire che molte dinamiche sono molto simili. 
Probabilmente la differenza sostanziale consiste sul fatto che in una psicoterapia di gruppo c’è un conduttore, il terapeuta e nei gruppi social no. Ma esistono altre modalità di gruppi che curano, non necessariamente psicoterapici, ma definiti di auto mutuo aiuto, che sono gruppi in cui non c’è un conduttore, ma facilitatori della comunicazione, in cui alcuni membri si riuniscono per darsi forza reciprocamente. In un gruppo come quello che sto cercando di descrivere in maniera giocosa e non scientifica, lungi da me, vedo molto bene la figura del facilitatore, che può essere svolto da chiunque, chi più e chi meno, a seconda del periodo e di come sta in quel determinato momento. Capita spesso infatti che non ci sia sempre la stessa voglia o intensità a partecipare alle discussioni che giornalmente si affrontano. A questa attività cosciente quasi quotidiana, si alterna costantemente una dinamica inconscia, derivante “dai contribuiti anonimi dei singoli partecipanti che inconsciamente mettono in comune stati emotivi fortemente regressivi, a motivo dei quali essi perdono parte della loro individualità e acquistano il sentimento di appartenenza al gruppo, sentito come afferma lo psicologo Kaneklin,  come un’entità distinta dalla somma dei singoli membri. Nel gruppo emerge e si sviluppa un’esperienza sensoriale, affettiva, emotiva, inconscia, una “vita propria” definita come “mentalità di gruppo” o “gruppo di base". I membri, in seguito ad una regressione inconscia, rinunciano a qualcosa di se stessi, nel momento in cui agiscono come parti del gruppo, da esso condizionati. È importante occuparsi delle dimensioni emotivo-affettive che appartengono al mondo inconscio del gruppo, poiché esse interferiscono costantemente sul gruppo di lavoro, cioè sull’esecuzione del compito, qualunque esso sia, dallo stare bene insieme, dall’organizzare cene, testimoniare affetto in momenti critici come perdite o in date importanti del calendario. 
Bion individua tre modalità di funzionamento del gruppo, dette “assunti di base” assunto di base di dipendenza, di 2) accoppiamento e 3)di attacco-fuga. 
Il primo descrive la situazione secondo cui il gruppo si riunisce allo scopo di dipendere da qualcuno o da un capo, il quale può risolvere tutti i problemi e sul quale vengono proiettate molte aspettative. Il secondo si riferisce all’attesa o alla speranza di un evento o di un individuo, un Messia, che risolva tutti i problemi del gruppo. Il terzo assunto di base è caratterizzato da una convinzione globale secondo cui esiste un nemico esterno da cui difendersi o attraverso l’evitamento/fuga o tramite l’attacco e poi la fuga. L’oscillazione tra i due stati mentali – quello razionale consensuale e quello inconscio collusivo ,  dà origine alla “cultura di gruppo”.
Rispolverati quindi gli assunti di base bioniani, capisaldi di tutte le teorie sui gruppi, possiamo ipotizzare quindi che ogni membro di un gruppo, tende a relazionarsi ad esso secondo una delle tre modalità descritte e che anche appartenere ad un gruppo Whatsapp può far scattare dinamiche  e conflitti caratteristici in  ognuno di noi, che possono quindi far rafforzare l’appartenenza al gruppo stesso o di fuggire da esso. Eravamo adolescenti, cantieri aperti da strutturare, ci siamo trovati adulti, ognuno con la sua vita, alla ricerca di qualcosa, ognuno con la valigia riempita  durante gli anni di latenza, con qualcosa di positivo o negativo , questo non importa, qualcosa da comunque da condividere, a tempo determinato o indeterminato  con l’altro.

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