Emergenza Covid-19, Centro di solidarietà Il Delfino: "È necessario applicare un senso di giustizia sociale"







COSENZA – L’emergenza Covid-19, nonostante la fase due, non si placa. Una lunga quarantena che però qualcosa ha insegnato. Un senso di responsabilità nei confronti del prossimo, una lente di ingrandimento e una presa di coscienza maggiore destinata a produrre qualcosa di concreto. Sono cambiate le nostre abitudini, abbiamo imparato a guardare le cose da prospettive diverse. L’incertezza del futuro, la difficoltà di gestire le nostre relazioni ha rivoluzionato il nostro modo di vivere e la capacità di approcciarci al sociale.

«Il virus non è in vacanza. Non dobbiamo quindi smettere di essere responsabili. È necessario fornire risposte nuove a una situazione sociale critica. Risposte diversificate ai tanti bisogni che questa crisi ha amplificato». È quanto dichiara Il presidente del Centro di solidarietà Il Delfino, Renato Caforio su Sicilia Network, con tono determinato.

Nessuno deve rimane indietro. «Tante condizioni di povertà sono aumentate e serve lavorare con lo stesso spirito di solidarietà che abbiamo dimostrato di avere».
Il Delfino da oltre trent’anni eroga servizi socio-sanitari per persone in difficoltà con la Residenza psichiatrica, la Rems, la Comunità di recupero per tossicodipendenti e il Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati.

Coronavirus e settore sociale

«Questa crisi si porta dietro due questioni importanti che si intrecciano: la crisi economica causata dal blocco delle attività e una crisi sociale, che da questa poi deriva».
Molte persone, infatti, sono costrette a vivere una condizione di isolamento, di disagio sia economico che sociale. Pensiamo a coloro che in questa fase hanno avuto difficoltà ad acquistare beni di prima necessità, alle persone costrette a un isolamento forzato a fronte di una loro patologica: disturbo psichiatrico, per esempio. Costrette a stare a casa a causa della chiusura dei servizi pubblici e privati.
«Penso ai tossicodipendenti, ai detenuti, alle persone con disturbi psichiatrici e a tutta una vasta platea di persone che con l’isolamento forzato sono state costrette a convivere con un disagio sociale amplificato, forte e devastante. Noi che abbiamo dovuto chiudere – continua Caforio – i servizi per tutelare la salute dei nostri ospiti, ci rendiamo conto che questa fase che si apre richiederà un grande sforzo di lavoro».

Il Delfino, nei mesi scorsi, ha inaugurato la “Casa di riposo San Giovanni Battista”, il presidente Caforio sottolinea che «il virus ha fatto strage soprattutto là dove i servizi, le strutture residenziali Rsa, non sono stati capaci di tenere distanti i contagi. Noi abbiamo operato come facciamo sempre: cercando di salvaguardare le persone che accogliamo. La questione è porre al centro dell’attenzione in tutta l’organizzazione dei servizi che si rivolgono a persone con fragilità, l’interesse supremo della loro condizione di salute, del loro benessere sociale e non del profitto. Se avessimo agito come altri hanno fatto, puntando esclusivamente sull’interesse economico, avremmo ottenuto risultati disastrosi. Abbiamo applicato dei protocolli molto rigidi già dal mese di febbraio. La triste realtà delle tante persone anziane morte nelle case di riposo, ci conferma che la sanità è un bene pubblico talmente importante che non può essere merce di scambio da un punto di vista esclusivamente economico».

Storie devastanti di chi è diventato vittima della mercificazione della propria condizione. Storie di persone fragili che andavano protette. «Non servono ricette miracolose, ma bisogna applicare un senso di giustizia sociale che ti porta a dire che le persone fragili devono essere tutelate».


Salute mentale, tossicodipendenza e protocolli

Un disagio decisamente amplificato anche per coloro che soffrono di patologie: un isolamento forzato all’interno di una struttura. La ricerca costante di un equilibrio effimero.
«Stiamo lavorando a due nuovi protocolli per gli ospiti della Rems e della Comunità di recupero per tossicodipendenti. Protocolli che consentano di effettuare delle visite domiciliari e di beneficiare dei permessi per le visite all’interno delle strutture, in sicurezza. Non è possibile sottrarre, alle persone che hanno già una fragilità mentale, il contatto con i loro cari. I protocolli prevedono dei nuovi ingressi, ovvero la possibilità a chi fino a oggi non è potuto entrare nei nostri servizi, di effettuarli in sicurezza. Un lavoro di responsabilità che faremo in strettissima sinergia con il servizio pubblico: il Serd, magistrati e i centri di salute mentale».

Migranti

Sospese anche le attività di integrazione nel tessuto sociale del Servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati. Anche i giovani dello Sprar si sono ritrovati a vivere questo distanziamento sociale. Molti di loro sono volenterosi, hanno progetti e sogni da realizzare. «Servirebbe regolarizzare molti di loro, che adesso sono dei clandestini, perché potrebbero contribuire con il lavoro a risollevare settori della nostra economia. Molti settori hanno difficoltà a trovare manodopera e loro potrebbero garantirla, favorendo così delle attività lavorative regolari».

Povertà

L’Italia possiede un formidabile tessuto di molte realtà no-profit. Tante organizzazioni del terzo settore che hanno dimostrato, in maniera silenziosa, di rispondere ai bisogni sociali.
«Le numerose difficoltà economiche che si presenteranno potranno essere mitigate attraverso le esperienze di servizio sociale, anche di prossimità. Competenze che possono essere messe in campo non solo per alleviare una grande sofferenza, ma per creare una spinta verso il futuro, affinché la gente si riattivi, prenda possesso nuovamente della propria vita. Si senta, così, parte di un processo sociale utile per “ricostruire” il Paese».

Gli organismi del terzo settore possono offrire un prezioso stimolo all’entusiasmo, all’altruismo, alla generosità attraverso le numerose competenze, garantendo risposte  ai tanti disagi.
«Pensiamo alla consulenza psicologica effettuata durante questa emergenza anche solo tramite Skype, i social. Nonostante il distanziamento sociale, questo grande tessuto può fornire uno stimolo ulteriore per uscire da questa crisi, anche in molto concreto, pratico».

Medicina territoriale e welfare in prossimità

Servirebbero delle politiche mirate per un welfare che sia più di prossimità, che dia risposte più vicine ai cittadini.

«Abbiamo dovuto gestire questa emergenza facendo affidamento soprattutto alle aziende ospedaliere. Ma ci sono stati altri momenti della nostra storia, in cui per far fronte alle emergenze sanitarie ha funzionato molto di più la medicina territoriale. Era capace di intervenire proprio nei luoghi in cui l’epidemia si sviluppava quindi nei borghi, nei paesi, nelle campagne. Intervenire con i medici per curare e prevenire. Servirebbe potenziare questo tipo di politiche sul territorio, nella comunità, anziché partire dalle strutture che arrivano quando il danno si è conclamato. Dovremmo partire dal dato sociale, dal contesto sociale in cui si manifesta l’emergenza per poter intervenire.
Utilizzando il mix tra il terzo settore e lo Stato, con tutti i servizi pubblici, possiamo decisamente migliorare la qualità della vita. Si tratta di uno sforzo corale: unire le visioni. La visone sociale del terzo settore e la visione del bene pubblico che ha lo Stato. Con la loro unione è possibile risollevare le sorti delle persone, seguirle, accudirle, accoglierle».

Le attività sociali del Centro Il Delfino non si sono mai fermate, quelle progettuali riprenderanno presto con gradualità e responsabilità.
«Vogliamo lavorare per proseguire nel nostro impegno quotidiano, fornire risposte ai bisogni che sono presenti. Si tratta di fragilità che necessitano di risposte. Continueremo a lavorare sempre in questa direzione e fornire questo tipo di servizio alle persone».

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