Ritrovare lo slancio e il senso del dovere




Insegno Lingua e Cultura italiana in Francia in diverse scuole, per la maggior parte istituti universitari. Ho sempre pensato al mio lavoro come alla passione della mia vita a cui dedicarmi con dedizione e abnegazione. In fondo, l’ho scelto fin da piccola. Senza che mai si insinuasse in me il dubbio se fosse stata la scelta giusta, se valesse davvero la pena dedicare tante energie a un lavoro che richiede molto tempo, quello della complessa organizzazione della didattica, e il tempo, importante, dell’ascolto dei nostri studenti. Circa un mese fa qualcosa ha cominciato a vacillare. Un nemico invisibile si è insinuato nel nostro quotidiano tranquillo, ordinato e monotono. Il panico qua si è diffuso in ritardo rispetto all’Italia. Il problema sembrava lontano da noi, e ci sentivamo ancora forti ed invincibili come se la frontiera potesse bloccare l’entrata al nemico. Ma il nemico ha superato ogni ostacolo e si è mostrato a noi in tutta la sua crudeltà. E qualcosa si è rotto. Chiusura repentina delle scuole, giornate frenetiche per mettere in marcia il sistema di piattaforme, App, mail, Skype per continuare a comunicare con gli studenti e assicurare la didattica. Le mie certezze hanno conosciuto una sensazione nuova: qualcosa dentro di me ha iniziato a ribellarsi. La priorità data all’allestimento di aule virtuali, tecnologie avanzate per essere operativi in modo eccellente, mi è sembrata esagerata, sciocca, inutile. E fuori luogo, perché intorno a noi, anche se a distanza, tutto era diventato nuovo, diverso e complicato. Mi sono chiesta quale fosse il senso di continuare a lavorare per mostrare una normalità di facciata, quando in maniera evidente di normale non era rimasto più nulla. C’è sempre un prima e un poi, in ogni cosa. Ecco il prima era finito, si è aperto un poi nuovo, diverso, pieno di incognite. Nonostante tutto, in questo poi fragile, ho capito che la normalità, anche se di facciata, è necessaria per affrontare le giornate, serve a restare aggrappati al nostro dovere quotidiano, a scandire il ritmo delle giornate. Bisognava solo ritrovare lo slancio, il senso del dovere verso i miei studenti, accettare la situazione diversa che si presentava a tutti noi con forza facendoci sentire smarriti. Ho cercato di superare questo senso di smarrimento e cercato un nuovo ritmo di lavoro. L’organizzazione lavorativa necessariamente doveva cambiare, ma ho ritrovato l’entusiasmo che credevo di aver perso di vista, quello che ci spinge ad investirci ogni giorno in questa avventura che è l’insegnamento: accompagnare lo singolo studente nella sua formazione,  prenderci cura di lui, sostenerlo nella sua ricerca di sapere, avere risposte, affrontare sfide. Fattivamente, gli studenti ed io abbiamo organizzato le nostre agende, incontrandoci virtualmente in corsi sulle piattaforme, in cui ho cercato il modo migliore per coinvolgerli, interessarli, tenerli incollati allo schermo del computer. Quello che per me all’inizio è stato difficile, e cioè adattarmi a questo nuovo modo di fare didattica, per gli studenti è stato assolutamente normale. 
Per loro è stato facile capire il funzionamento delle aule virtuali, si sono affacciati al nuovo senza timore, anzi con interesse. Sono contenti di ritrovare gli amici, anche se a distanza, di apprezzare questa novità perché permette una gestione diversa di un tempo diventato più lento. Il loro senso di adattamento mi piace, mi coinvolge, mi sprona, mi tiene desta la voglia di rivederli al prossimo corso. Ho ritrovato il senso del mio mestiere, il piacere di preparare una lezione nel silenzio di giornate lunghe, dal tempo dilatato, con la solitudine come unica compagnia. Mi piace di nuovo ritrovare gli studenti, iniziare ogni lezione chiedendoci come va e comunicarci paure e speranze. Non conosco tutte le risposte su previsioni future, ma posso incoraggiarli alla resistenza che l’isolamento impone. E posso incoraggiare me stessa. Perché quello tra insegnante e allievi è un rapporto di scambio continuo, di dare e ricevere, di condivisione, di crescita parallela. Devo adeguarmi al nuovo modo di trasmettere certo, alle lezioni virtuali, alla connessione che spesso è debole o salta, a piccoli o grandi problemi tecnologici, ma resta intatto il bisogno di non piegare né spezzare il filo rosso che mi lega agli studenti, che mi ricorda che l’insegnante è per loro anche un punto di riferimento, oggi virtuale ma presente, e che mi spinge ancora a non smettere di esserlo. Il prima e il poi non hanno davvero scalfito il senso di questo mestiere, lo hanno solo momentaneamente modificato. In attesa di tempi migliori, ho scoperto un nuovo modo di trasmettere, di insegnare, ho preso dimestichezza con varie piattaforme, per capire che il bisogno di condividere la conoscenza con gli altri non si interrompe in nessun frangente, non viene bloccato da nessun virus. Quando tutto sarà finito, perché è bello e importante credere che andrà tutto bene, questa storia ci avrà insegnato qualcosa, ad adattarci all’imprevisto, a modificare il quotidiano spesso dato per scontato, a reinventarci, ad amplificare l’ascolto, a restare uniti nella distanza. Questo insegnamento che sto apprendendo lo devo ai miei ragazzi che, con tranquillità e serenità, si adattano in maniera camaleontica al cambiamento, e cercano il lato positivo anche nell’incertezza più buia.

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