Giornata mondiale contro l'abuso e il traffico illecito di droga: “Mai più Invisibili” alla Comunità Eden
di Katya Maugeri
Di droga si muore, ancora. L’uso delle sostanze stupefacenti
è entrato totalmente nella società che molto spesso tende ad emarginare i
tossicodipendenti rendendoli invisibili. Il fenomeno delle droghe continua a
rappresentare una vera e propria emergenza sociale.
Il 26 giugno si celebra la giornata mondiale contro il
consumo ed il traffico illecito di droga. Indetta, sin dal 1987,
dall’assemblea generale delle Nazioni Unite che ricorda l’obiettivo comune a
tutti gli Stati membri di creare una comunità internazionale libera dalla
droga. Un mercato in continua espansione. L’evoluzione del mercato
della droga non si ferma, una continua evoluzione che vede ogni giorno la
presenza di nuove e letali sostanze. In aggiunta alle sostanze tradizionali
ricavate da piante – cannabis, cocaina ed eroina – si nota l’espansione di un
mercato dinamico per droghe sintetiche e l’uso di prescrizioni medicinali di
farmaci. Dall’ultimo rapporto delle Nazioni Unite del 2017 si evince che 271
milioni di persone hanno fatto uso di droghe. Il World Drug Report del 2019 afferma, inoltre, che il 5,5%
della popolazione mondiale tra i 15 e i 64 anni abbia assunto sostanze
stupefacenti. Sono dati drammatici che si aggiungono all’aumento di malattie
come l’epatite C, HIV e overdose.
La cannabis rimane di gran lunga la droga più usata su scala
internazionale mentre gli oppioidi rappresentano il più grande danno alla
salute dei consumatori. Dal 2010 cresce anche l’uso di “Ecstasy”, associato
alla vita notturna sfrenata, con alti consumi tra i giovani. Negli ultimi anni
è maggiormente assunta nella forma di Ectasy pura, ossia polvere cristallina.
Per questa significativa celebrazione, il Centro di
Solidarietà il Delfino ha organizzato un evento alla comunità terapeutica
“Eden” dal titolo: “Mai più Invisibili”. «Per la nostra comunità l’evento è
reso ancora più significativo dalla ricorrenza dei trent’anni di attività.
Infatti il 6 febbraio del 1990 venne aperta la seconda fase del programma
terapeutico “Progetto Uomo” nella comunità terapeutica di Castiglione
Cosentino». Racconta con orgoglio il presidente Renato Caforio.
«In questi 30 anni il fenomeno delle dipendenze da sostanze
d’abuso lecite ed illecite è molto cambiato non solo nella tipologia di droghe
utilizzate, in particolare dai più giovani, ma registriamo, soprattutto, un
“silenzio assordante” da parte dello Stato e della comunità civile oramai
abituati a convivere con il fenomeno come se si trattasse di una comune
malattia.
Rispetto a 30 anni fa in cui la droga quasi esclusiva era
l’eroina che mieteva vittime tra tantissimi giovani, oggi le dipendenze si sono
di molto ampliate e diversificate: uso contemporaneo di più sostanze d’abuso,
parte delle quali assolutamente legali. L’accentuazione dei consumi di massa a livello globale, uno
sviluppo tecnologico senza precedenti e che ci accompagna quotidianamente, hanno
incluso anche una maggiore diffusione delle droghe lecite ed illecite come di
una “merce di consumo” al pari di qualsiasi altro prodotto che troviamo negli
scaffali delle grande distribuzione.
Non esiste più indignazione e protesta sociale, non c’è più
alcuna preoccupazione sulla facilità con cui le sostanze e i comportamenti che
procurano dipendenza sono accessibili a tutti. Abbiamo tutti battuto in
ritirata: Stato, famiglie, scuola forse per non mettere in discussione un
modello di società troppo sbilanciato sul consumismo. Per ricordare questi tre decenni trascorsi nel nostro
impegno contro ogni droga, abbiamo organizzato un momento di confronto tra i
protagonisti di allora e quelli che oggi continuano, nonostante tutto, a
credere che le droghe possono essere contrastate e le persone che ne fanno uso
possono essere aiutate a credere in se stessi e nella vita».
La storia di una comunità così presente e attiva sul
territorio merita attenzione e ascolto.
«Raccontare la nascita della comunità terapeutica ‘Eden’ del
Centro di Solidarietà Delfino non è affatto facile – racconta Lina De
Simone, prima operatrice della comunità -. Ho l’ardire di raccontare come una
casa vuota e abbandonata è diventata casa che accoglie maternamente, che con
dedizione ha riacceso la fiammella della speranza in tante famiglie logorate
dalla sofferenza e che oggi rappresenta un riferimento significativo per il
nostro territorio.Ho conosciuto il Delfino 30 anni fa, da giovane studentessa
alle prese con l’elaborazione della tesi di laurea. Studiavo l’aspetto
riabilitativo delle tossicodipendenze nel territorio regionale, analizzando i
percorsi di recupero proposti dalle comunità che operavano in Calabria. Mi
colpì l’aria pulita che si respirava, trovai operatori pieni di entusiasmo, di
voglia di fare e con una profonda fiducia nell’uomo e nella sua capacità di
migliorarsi.
La persona al centro, a prescindere da tutto. Sentii quel
posto anche mio: ne condividevo i principi, i valori, la filosofia. L’inizio di
tutto fu proprio questa sensazione e rappresenta le mie radici
professionali: quel posto è ancora oggi il mio posto. Il lavoro di progettazione fu entusiasmante per alcuni versi
e difficile per altri. Il programma da implementare faceva capo a ‘Progetto
Uomo’ don Picchi, per cui noi operatori facemmo un periodo di formazione
in comunità che già operavano in tal senso.
La casa era pronta ma dovevamo trasformarla in una
“comunità”. Per questo, prima di accogliere gli ospiti, io e gli altri colleghi
siamo diventati noi stessi ‘comunità’ e la Comunità per un breve periodo è
diventata la nostra casa, dove abbiamo vissuto, condiviso sensazioni, paure,
speranza. Abbiamo vissuto come attori protagonisti le potenzialità dello stare
insieme, la forza del gruppo e le difficoltà della convivenza. I primi ospiti vennero accolti il 6 febbraio del 1990. Erano
in quattro. Ricordo bene le loro facce preoccupate, la loro difficoltà a
mostrarsi e a chiedere aiuto, la loro paura di affrontare un percorso
difficile, severo, doloroso. Di quel periodo posso dire che operatori e utenti
maturarono insieme. Per qualche anno andammo avanti riproponendo il modello
importato dal CEIS, ma col tempo ci rendemmo conto che la nostra realtà ci
chiedeva altro. I nostri utenti esprimevano nuovi bisogni, ai quali dare ascolto
e risposte. Quel modello che avevamo importato, dalle caratteristiche
rigide e severe, che si occupava prevalentemente dell’errore e di ciò che non
andava bene. Pian piano venne sostituito con un modello che accoglieva in
maniera incondizionata e che si concentrava sulla risorsa e non sull’errore.
Il Delfino, infatti, andando controcorrente e
abbandonando quello che all’epoca era un punto fermo del funzionamento delle
comunità, fu uno dei primi Centri ad occuparsi della disintossicazione
all’interno della struttura. La costante attenzione ai bisogni degli utenti ha
fatto si che negli anni il programma si evolvesse costantemente». Oggi la Comunità del Delfino accoglie diverse forme di
dipendenza. Da sostanze, da alcool, da gioco patologico, da psicofarmaci.
«E pur operando sulla scorta di maggiore esperienza e competenza, ha mantenuto
viva la filosofia di 30 anni fa. La persona al centro a prescindere da tutto e
la profonda fiducia nella capacità dell’uomo di migliorarsi».
(pubblicato su https://www.sicilianetwork.info/giornata-mondiale-contro-labuso-e-il-traffico-illecito-di-droga-mai-piu-invisibili-alla-comunita-eden/)
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