Tossicodipendenza e comunità di recupero: “Non è sufficiente l'informazione per fare prevenzione”
L’uso e l’abuso delle
droghe accompagnerà l’umanità ancora per molto tempo. Come avevamo già
analizzato nei mesi scorsi, nella Relazione
annuale al Parlamento sul fenomeno delle tossicodipendenze in Italia 2020 con i
dati relativi al 2019, il dato allarmante è caratterizzato dai 373 casi di
decesso per overdose: l’11% in più rispetto lo scorso anno. Un fenomeno che non
sembra assolutamente cessare.
Ma cosa spinge un
giovane, nonostante l’informazione, a fare uso e abuso di sostanze? «Le
droghe legali, illegali e i comportamenti che determinano dipendenza, non
scompariranno perché decideremo di schierare l’esercito all’ingresso delle
nostre città». Spiega Renato Caforio presidente del Centro di
Solidarietà Il Delfino di Cosenza, centro che accoglie e gestisce l’Eden, una
importante comunità di recupero per tossicodipendenti presente sul territorio
da oltre trent’anni.
«Le persone hanno bisogno
di dipendere da qualcosa in senso affettivo, piuttosto che in termini di
identificazione: alcune di queste persone hanno delle fragilità sotto il
profilo psicologico, comportamentale e socio-affettivo che possono determinare
una maggiore propensione a comportamenti di “tossico-dipendenza, ” piuttosto
che sfociare in altre forme di violenza.
Il confine tra la
responsabilità personale e le “colpe della cattiva società” nella scelta della
persona di far uso di droghe o di comportamenti che produco dipendenza (vedi
gioco d’azzardo), sono estremamente labili e minati. Possiamo affermare, senza
voler fare affermazioni di principio, che in un soggetto fragile
psicologicamente, in formazione come può essere un giovane, in una società che
tende a esaltare i consumi ad ogni costo, anche quelli che producono dipendenza
sotto forma di consumi legali, sono il binomio che fa da contenuto all’attuale
fase del dilagare dell’uso e abuso di droghe e, in generale, di comportamenti
cosiddetti di “addiction”».
Dunque, non è sufficiente
l’informazione per fare prevenzione. Il tema è complesso e difficilmente
può prestarsi a semplificazioni del tipo: prevenzione uguale informazione. La
prevenzione riguarda molto altro: «la formazione che gli adulti possono
testimoniare ai giovani (sottolineo testimoniare e non trasmettere), la cura
della dimensione affettiva e relazionale sin dall’infanzia, le opportunità di
socializzazione tra pari, il contrasto alle povertà culturali e relazionali.
Questi sono alcuni aspetti che dobbiamo considerare in un vero programma di
prevenzione. Voglio, infine, aggiungere l’importanza di un precoce aggancio del
giovane che inizia a far uso di droghe, per impedire che l’uso diventi abuso,
poi dipendenza e possibile cronicizzazione».
In questo panorama
sociale le comunità terapeutiche oggi hanno un particolare ruolo di
assistenza, cura e riabilitazione delle persone che hanno una dipendenza
patologica da sostanze lecite e illecite e comportamentali.
«Le comunità terapeutiche
fanno parte del sistema dei servizi pubblici e privati accreditati che offrono
risposte a bisogni diversificati delle persone che hanno una
tossico-dipendenza. L’Italia è in questo settore un paese che presenta un
sistema di welfare strutturato e capillare. In particolare, sono strutture che
offrono programmi terapeutico-riabilitativi personalizzati che sono frutto di
esperienze di oltre quarant’anni di attività. Si tratta di programmi
residenziali che coniugano la forza delle relazioni umane significative di
auto-aiuto che si sviluppano in una comunità terapeutica, e gli approcci
multidisciplinari delle scienze educative e della psicologia clinica. Questi
aspetti psico-educativi si combinano con i trattamenti medici (anche
psichiatrici) e farmacologici per la cura delle dipendenze patologiche».
Oggi, pertanto, le
comunità terapeutiche, rappresentano un concentrato di questi diversi aspetti
del sapere scientifico e dell’umanizzazione delle cure: le comunità
terapeutiche hanno origine in ambito psichiatrico come superamento dei manicomi
proprio attraverso la combinazione di saperi e di un diverso approccio
relazionale ai contesti di cura.
«Il loro ruolo oggi è
utile non solo alla cura delle dipendenze, ma anche in ambito educativo, in
particolare nel fornire alle scuole di ogni ordine e grado, programmi di
prevenzione dedicati alle diverse fasce d’età. In questo ambito dei programmi
dedicati alla prevenzione, le comunità terapeutiche hanno sviluppato saperi ed
esperienze che sono frutto di un lavoro di ricerca che va avanti ormai da
quarant’anni.
Purtroppo, in generale,
la prevenzione è una strategia del sistema delle politiche sociali e sanitarie
piuttosto marginale: la pandemia provocata dal Covid 19 è un esempio
emblematico, ovvero, si è puntato sugli ospedali, piuttosto che sulla sanità
territoriale e di prossimità. I risultati li conosciamo tutti. La prevenzione
non è conveniente dal punto di vista economico. Esiste, poi, una certa scienza
accademica con la puzza sotto il naso, che non considera la prevenzione come
degna di importanza, perché opinabile la rilevazione dei risultati di
efficacia. Si tratta di atteggiamenti di pregiudizio non aderenti alla
conoscenza delle dinamiche sociali e relazionali degli esseri umani».
Covid e
tossicodipendenza.
Come state affrontando
questa emergenza sanitaria che inevitabilmente peggiora l’emergenza sociale ed
emotiva di chi lotta contro la dipendenza? «Sotto l’aspetto della
prevenzione del Covid ci siamo organizzati per assicurare protocolli per
ridurre il rischio di contagio tra gli operatori e gli utenti della comunità –
continua Caforio -.
Protocolli che sino ad
oggi ci hanno garantito di tenere fuori dalla nostra comunità terapeutica il
Covid; non abbiamo mai abbassato il livello di attenzione e utilizzato
quotidianamente tutti i presidi sanitari di prevenzione.
Il Covid ha certamente
limitato alcune attività riabilitative: il programma terapeutico-riabilitativo
da noi utilizzato ha nell’approccio al recovery un suo punto di forza, in
questo periodo alcune di queste attività non si sono potute realizzare per
l’impossibilità di svolgerle fuori dalla struttura della comunità o far entrare
in essa altri professionisti per portare avanti alcuni laboratori . Abbiamo
cercato di potenziare tutte le forme di resilienza per consentire agli utenti
della comunità di affrontare questa difficile fase psicologica con un
atteggiamento sempre reattivo.
Facendo cosa? Favorendo e
incrementando i momenti di confronto e di auto-aiuto tra gli utenti e tra
questi e gli operatori della comunità. Gli operatori sono stati in grado, pur
nella difficoltà del momento, anche con la paura che il covid ha generato in
tutti noi, di creare un clima favorevole per continuare ad impegnarsi a
completare con successo il programma riabilitativo. Noi siamo
assolutamente convinti che la forza delle relazioni che caratterizzano le
comunità terapeutiche , sviluppano anticorpi capaci di far resistere a
situazioni di forte stress psicologico le persone che ne sono protagonisti. Noi
crediamo in questa forza e tendiamo costantemente a svilupparla».
(articolo pubblicato su Sicilia Network: https://www.sicilianetwork.info/tossicodipendenza-e-comunita-di-recupero-non-e-sufficiente-linformazione-per-fare-prevenzione/)
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