Incontri che scaldano l'anima




di Raffaele Gencarelli

Il medico Condotto aveva lo studio nel centro storico, si raggiungeva da una ripida e stretta scalinata in mezzo a finestrelle irregolari, muri scrostati, qualche vasetto con scheletri di begonie e rinsecchite faceva intuire di un passato in cui la vita fioriva in quei vicoletti. 
Avevo fretta, la macchina fuori posto mi spingeva a correre, intrapresi la scalinata saltando i gradini a due a due, quasi meravigliandomi della mia agilità, nel mentre mi compiacevo con me stesso e girato in un angoletto, mi imbatto in un ostacolo, appoggiato al muro un'anziana signora prendeva fiato.  

Mi fermai e lei con un filo di voce mi chiese; “Giuvano’ m’ aiuti pe piaciri “devo andare dal dottore.  Gli porsi il mio braccio ma lei si aggrappò alla mia mano. Aveva un lungo vestito blu scuro dei piccoli fiorellini stampati stretti ,un grande scialle nero che copriva tutta la testa e le spalle, canuti capelli d'argento spuntavano dallo scialle e facevano da contorno al suo viso scarno, scavato dal tempo e sacrifici dagli stenti.  Su quel viso segnato dal tempo brillavano due occhi fieri,  verde chiaro, ne avevano visto di cose avevano racchiuso

Immagini di una vita difficile ma dignitosa.  Mi sorrise imbarazzata,  mi raccontò di figli lontani per lavoro,  di nipoti che capiva a fatica al telefono le rare occasioni in cui si facevano sentire:” parranu u tadieanu” mi disse, mi raccontò che si cucinava da sola minestre con legumi in particolare e mi invitò  ad andare a trovarla.  Facciamo 15 metri  mano nella mano, non sentivo il suo peso, sentivo sulla mia pelle il calore di quella mano ossuta, sentivo dentro di me un turbinio di sentimenti, un misto di rabbia e di dolcezza.  Arriviamo dal medico e lei mi prese tutte e due le mani con i suoi occhi luminosi  mi chiese: “Cumi ti chiami giuvano’?

Raffaele risposi, poi fu il mio turno e chiesi e vussuria come vi chiamate? “Rosina,  Rosina e da razza e Aiello”.  “Ciao Giovano’,  che Dio ti accompagni, si nu  buanu guagliun”.
In quel momento dai miei occhi si misero sgorgare lacrime di tenerezza non riuscivo a fermarle, tentavo di parlare ma la commozione me lo impediva.  La lasciavo con un abbraccio e me ne ritornai indietro, alla mia macchina fuori posto alla mia vita frenetica, alla nostra incapacità di prestare attenzione ai nostri anziani lasciati sempre più soli da una società sempre più indifferente. 

Ciao zia Rosina e grazie del tuo regalo, la  tua umanità, i tuoi occhi fieri e dignitosi hanno fatto breccia nel mio cuore, non sarò più quello di prima.

Commenti

I più letti

Il Gran Premio della vita

Gli "hikikomori": isolati e esiliati dal mondo

Siamo circondati da vampiri emozionali. Chi sono e come riconoscerli