La leggenda del pescatore




La leggenda giapponese del pescatore e della tartaruga è una storia che fa riflettere molto sulla qualità del nostro tempo e sulle nostre azioni. Non bisogna confondere il piacere e il desiderio con il benessere, né il godimento momentaneo che soddisfa i nostri bisogni con la soddisfazione che deriva dall’impegno e dal sacrificio. E non possiamo trascurare le conseguenze delle nostre decisioni: ogni azione ha le sue conseguenze, positive o negative. 


Molto tempo fa, sulle rive nel mar del Giappone, viveva un pescatore di nome Urashima conosciuto da tutti per la sua grande abilità sia con la canna da pesca che con la rete.
Un giorno tirando le reti sulla sua barca pescò uno stupendo esemplare di tartaruga che probabilmente gli avrebbe fatto guadagnare un bel po' di soldi in più rispetto ai soliti ricavi per la vendita di pesce comune. Il buon Taro però era d’animo sensibile e tra sé pensò che non aveva il diritto di uccidere un animale che sarebbe vissuto almeno altri mille anni così liberò la sua preziosa preda. Il peso dell’animale lo stancò tanto da farlo sdraiare sul fondo della barca, così poco dopo si addormentò contento per la sua buona azione mentre le onde lo cullavano. Al suo risveglio (ormai al tramonto), Taro si alzò stropicciandosi gli occhi e sbalordito vide una bellissima ragazza seduta nella sua barca. Aveva la pelle color della luna, i capelli color del sole e gli occhi color del mare.

Subito il ragazzo gli domandò chi fosse e lei rispose dicendo di essere la figlia del dio del mare, che viveva nel profondo degli abissi al palazzo dei draghi insieme a suo padre. La tartaruga che lui aveva risparmiato era in realtà lei stessa. Il dio del mare infatti aveva trasformato sua figlia nel rettile marino per fargli scoprire se Taro fosse d’animo buono in quanto la sua fama di pescatore era giunta sino alle loro orecchie. La ragazza gli disse che ora era sicura della sua bontà e che lui non avrebbe mai ucciso le creature del mare “gratuitamente” se non per la propria sopravvivenza, così gli annunciò felice che il padre voleva che si sposassero e vivessero per 1000 anni nel palazzo dei draghi al di là del profondo mare azzurro. Urashima che amava l’avventura e si era innamorato a prima vista di quella fanciulla, non se lo fece dire due volte. Così, preso un remo ciascuno, i due giovani cominciarono a remare e il giorno dopo alle prime luci dell’alba arrivarono nel regno dove il dio del mare governava sui draghi, sulle tartarughe e su tutti i pesci. Non appena Urashima vide il palazzo del dio del mare illuminato dalle prime luci del mattino, gettò un grido di meraviglia.
Le pareti erano di corallo, gli alberi avevano smeraldi per foglie e rubini per frutti. I pesci che guizzavano intorno avevano squame d’argento e i draghi avevano code d’oro massiccio. Neanche nelle sue fantasie più sfrenate il giovane pescatore avrebbe immaginato un luogo di così incommensurabile bellezza.
In più, visto che stava per sposare la figlia del dio, tutto quello che vedeva sarebbe stato suo. Per la felicità era al settimo cielo. Una volta celebrato lo sfarzoso matrimonio i due sposi cominciarono la loro agiata vita in quel regno meraviglioso, passeggiando tra i giardini di pietre preziose e ricevendo ogni giorno le visite e gli omaggi delle tantissime creature del mare di cui erano sovrani.
Passarono tre anni di gioia e amore reciproco ma arrivò il giorno in cui Urashima sentì fortemente la nostalgia del suo paese, della sua casa e naturalmente della sua famiglia della quale non aveva saputo più niente nonostante le continue domande fatte ai suoi sudditi.
Così Taro disse alla moglie del suo desiderio di tornare a casa per vedere in che condizioni fossero i suoi cari, in quanto lui stesso con la sua pesca era stato il più grande sostentamento della sua famiglia ed ora aveva paura che fossero caduti in povertà. Promettendo di tornare presto a palazzo si apprestò a partire. La sua sposa era triste per la sua decisione ma sapeva però che non avrebbe potuto fermarlo, e gli disse: – Taro, vedo che sei malato di nostalgia, ti stai struggendo dal desiderio di ritornare fra i tuoi. Non sarò certo io a trattenerti; va’ dunque, la tartaruga che ti ha condotto qui, ti riporterà a casa. Porta con te questo scrigno, ma mi raccomando vivamente di non aprirlo per nessuna ragione al mondo, se non vuoi perdermi per sempre. Così detto, Taro, prese la stessa barca con cui era arrivato con la principessa la prima volta e con la scatola magica si diresse verso la riva del Giappone dove si trovava il suo paese. Quando finalmente giunse a destinazione, ossia alla riva da dove era partito a pescare ben tre anni prima, quasi non riconosceva più niente dei posti dove era cresciuto e dove aveva pescato fino a pochi anni prima. Di uguali c’erano solo le montagne, il ruscello che passava vicino casa, ma gli alberi per esempio erano tutti tagliati e non c’era traccia né della sua casa né del villaggio.

Preoccupato cominciò a seguire il torrente per trovare le donne che erano solite lavarci i panni e chiedere quindi spiegazioni, ma niente, nemmeno una all’orizzonte. Seduto a terra venne colto dalla malinconia e dalla tristezza e cominciò a piangere pensando alla sua amata sposa. Ad un tratto vide venire verso di lui due uomini che non conosceva e raccolto un po' di coraggio andò loro incontro per chiedere loro dove fosse ora la casa del pescatore Urashima che un tempo abitava questo luogo. A questa domanda i due sconosciuti fecero una faccia sbalordita.

-La casa di Urashima ? – dissero – Ma se sono 400 anni che Urashima è annegato mentre pescava e anche i suoi parenti, nipoti e nipoti dei nipoti sono morti da molto tempo ormai. Come potete ricordarvi di lui e chiedere della sua casa? Sono centinaia di anni che è caduta in rovina ed adesso non restano neppure le pietre. Taro si guardò attorno smarrito con gli occhi lucidi di pianto e pensò che il meraviglioso palazzo del dio del mare con tutte le sue magnificienze appartenevano al mondo delle fate dove un giorno aveva la durata di un anno e gli anni la durata di secoli. Capì che nulla ormai lo legava al suo paese, visto che tutti i suoi cari e gli amici erano morti e che Taro Urashima era solo una leggenda del luogo ormai. Adesso il desiderio di tornare dalla sua amata sposa era più forte che mai, ma non sapeva come farvi ritorno in quanto si era dimenticato di chiederlo alla principessa. Pensieroso si ricordò della scatola magica e la rimirò a lungo pensando che probabilmente aprendola avrebbe trovato il segreto per ritornare al palazzo del dio marino. Detto fatto, Urashima aprì la scatola disobbedendo alla sua sposa. Da sotto il coperchio prezioso uscì una specie di nuvola di fumo azzurro che si involò rapida sull’oceano. Taro le gridò, le corse appresso ma non ci fu niente da fare. Con le lacrime agli occhi pensò che ormai aveva perso ogni possibilità di rivedere la sua sposa che lo aspettava nel palazzo dei draghi dove era vissuto felice per tanti anni. Mentre correva dietro alla nuvola ad un certo punto si sentì mancare le forze. Smise di correre e di gridare. Improvvisamente i suoi capelli si fecero bianchi, il suo viso si coprì di rughe profonde e la schiena gli si incurvò come quella di un vecchio decrepito. Alla fine il suo respiro si fermò e cadde riverso sulla spiaggia da dove era partito tanti anni prima verso il paese dei sogni.

Di quando in quando, specialmente durante lo notti di luna piena, i pescatori che si spingono nelle acque di Sugeka, odono, proveniente dal mare, una voce flebile, angosciosa, che chiama, chiama disperatamente, ed essi, mormorando tra i denti una rapida preghiera a Budda, dicono: – È Otime che chiama Taro, il suo sposo.

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