Peppino Impastato, quei cento passi lunghi 41 anni
Katya Maugeri
Il 9 maggio 1978 fu una giornata tragica per l’Italia:
i resti di Peppino Impastato ritrovati in un casolare, vicino ai
binari della ferrovia di Cinisi, e il cadavere di Aldo Moro in via
Caetani a Roma, dentro una Renault 4 rossa.
“Giuseppe Impastato, militante di Democrazia Proletaria,
saltato in aria mentre stava preparando un attentato sulla linea ferrata Palermo-Trapani”,
così scrissero i giornali. Forse un attentato -suicidio, si aggiunse dopo che i
carabinieri trovarono in casa della zia una lettera, scritta mesi prima, in cui
Impastato confessava i suoi propositi di suicidio. Ma quello che realmente accadde è storia, ormai: la Fiat 850
con Peppino a bordo fu bloccata lungo la litoranea Terrasini-Cinisi,
presumibilmente da due o tre persone. Impastato venne “stordito e fatto passare
accanto al posto di guida, poi fu condotto, con la sua stessa autovettura, fino
al caseggiato rurale del Venuti”, racconta Giuseppe Casarrubea nell’introduzione
al libro di Salvo Vitale “Nel cuore dei Coralli”. “Qui venne
sottoposto ad atroci torture, fino a che il suo corpo sanguinante fu adagiato a
terra con la testa poggiata sul lato più stretto del sedile. I suoi carnefici
volevano ucciderlo due volte”, ed ecco che inscenarono un attentato-suicidio.
Peppino Impastato, giornalista, attivista politico, fu
assassinato a seguito delle sue numerose denunce contro Cosa nostra, per la
libertà dei pensieri condivisi senza censura, senza timore, per la sua lotta
contro quel male chiamato mafia. Nel 1965 fondò il giornalino “L’idea
socialista”, dal 1968 in poi partecipa col ruolo di dirigente alle
attività dei gruppi comunisti, conducendo le lotte dei contadini espropriati
per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo in
territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1977
fonda Radio Aut, radio libera autofinanziata,con cui denuncia i
crimini e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, in primo luogo del
capomafia Gaetano Badalamenti – da lui chiamato “Tano Seduto” – che
aveva un ruolo rilevante nei traffici internazionali di droga, attraverso
il controllo dell’aeroporto di Punta Raisi. Il programma più seguito era
“Onda pazza a Mafiopoli”, trasmissione satirica in cui Peppino sbeffeggiava
mafiosi e politici.
Il depistaggio
La magistratura, le forze dell’ordine e la stampa parlarono
di un atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto ucciso. I
carabinieri, infatti, scrissero nel rapporto ufficiale che era morto mentre
tentava di mettere una bomba sui binari della ferrovia: era stato legato ai
binari già morto e poi fatto saltare in aria, massimo dispregio, come a volerne
eliminare ogni traccia. Ma la gente sapeva che ad uccidere Peppino era stata la mafia, e furono
tantissimi i giovani che arrivarono da tutta la Sicilia, insieme a manifestare
contro Cosa nostra.
La matrice mafiosa del delitto venne individuata grazie
all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta,
scomparsa nel 2004, ai compagni di militanza e del Centro siciliano di
documentazione di Palermo, fondato nel 1977 , dal 1980 intitolato a
Giuseppe Impastato. Sulla base della documentazione raccolta e delle
denunce presentate venne così riaperta l’inchiesta giudiziaria.
Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decise di
archiviare il “caso Impastato”, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma
escludendo la possibilità di individuare i colpevoli, ipotizzando la possibile
responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi. Nel maggio
del 1994 il Centro Impastato presentò una istanza per la riapertura
dell’inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venisse
interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore di
giustizia Salvatore Palazzolo, in precedenza affiliato alla mafia di
Cinisi.
Il 5 marzo 2001 la Corte d’assise riconobbe Vito Palazzolo
colpevole, condannandolo a trent’anni di reclusione, l’11 aprile 2002 sarà
la volta di Gaetano Badalamenti, condannato all’ergastolo.
“I mafiosi hanno commesso un errore – afferma il fratello
Giovanni – perché mettendolo a tacere, hanno amplificato la sua voce. Peppino
alla lunga magari avrebbe stancato, invece così ha per sempre ragione, ha per
sempre voce in capitolo. E gli altri ad ascoltare”.
E noi non ci abituiamo alle “solite” facce, noi continueremo
a ribellarci perché non è ancora tardi, e crediamo fermamente che “la mafia è
una montagna di merda".
(articolo pubblicato su SiciliaNetwork https://www.sicilianetwork.info/peppino-impastato-quei-cento-passi-lunghi-41-anni/)
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