Mediazione penale, L'artificiosa alterazione della realtà
di Giusy Schipani
mediatrice penale
mediatrice penale
“Mi faccio per diventare ciò che vorrei essere”, mediante
questa espressione l’etimo ci suggerisce come la sostanza riduce la distanza
tra l’ “Io” e l’ “Olimpo”.
L’uomo dopo avere assunto la sostanza non teme il distacco,
sopporta il dolore, domina la paura e l’impossibile diventa tutto ad un tratto
facilmente raggiungibile. In realtà si tratta di paradisi artificiali e
illusori, si tratta di un passaggio repentino dalla vette alle valli della vita
emotiva. Pensando alla mitologia greca, viene spontaneo riflettere su
come ogni condizione di tossicodipendenza si rispecchia nei miti di “Dioniso”,
il “Bacco dei Latini”, il “Viandante” e lo “Straniero”, perché rappresentati da
quegli archetipi messi in relazione al desiderio di sconfinare in dimensioni
più allargate della conoscenza che possano riempire quel senso di vuoto e
d’inquietudine con cui l’uomo combatte da sempre e che è strettamente collegato
alla sua condizione di creatura terrena, fallibile e in cerca di risposte. È
davanti alla complessa costellazione della tossicodipendenza che nascono una
serie di interrogativi. A cospetto di quanto messo in evidenza, qual è
l’intento da perseguire? Qual è nei confronti di un tossicodipendente
“l’investimento” da attuare?
Sicuramente non quello di chinarsi davanti ai
piedi dell’indifferenza seguita dall’elusione di responsabilità, ma
contrariamente è necessario soffermarsi sul costrutto dell’intelligenza
emotiva. Avere una buona intelligenza emotiva serve sicuramente ad orientarsi
con i propri vissuti a bilanciare quelli connessi alla sfera interpersonale,
nonché ad essere empatici e a saper riconoscere le emozioni e differenziarle
dalle altre. Bisogna puntare a quel grado di trasformazione, offrendo al
tossicodipendente i calzari alti per permettergli di iniziare la scalata dagli
inferi verso la bellezza della vita vera e concreta.
Ma come scrive lo psicologo Aldo Carotenuto: “Non c’è
atto trasformativo senza la riesplorazione del passato nel tentativo di
comprendere non solo il significato profondo di quanto è stato, ma soprattutto
quanto del perduto dirige ancora il nostro andare”.
La trasformazione, la ricostruzione così come la
riparazione, dimensioni queste che fanno parte del percorso terapeutico, non
possono prescindere dagli aspetti temporali che costruiscono l’uomo. Il passato
non si getta dietro le spalle, ma deve essere esaminato ed approfondito. Deve
diventare quello scudo di protezione che permette di fare il passo in avanti,
nel presente, ovvero nel mondo delle scelte ponderate e ragionate. Diventa
questo il sentiero del futuro, quel senso di appartenenza che permette all’uomo
di immaginare, e progettare il cambiamento della sua vita.
Si sviluppa in
tal senso la giusta premessa per convertire l’artificiosa alterazione della
realtà in “Il mondo è mio ed io non dipendo da nessuno perché ho scelto di vivere".
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