È foglia che sa morire danzando
Serena Belmonte - psicologa
Questi sono stati i primi versi ascoltati, appena
giunti a Lorica, dagli utenti della comunità Eden.
La neve, il suo candore, la luce riflessa, il bosco
silenzioso, le tracce lasciate da vive presenze nascoste ed i versi declamati
hanno immediatamente cambiato il tono emotivo del gruppo. Dalla semplice
euforia per l’uscita fuori porta, dal domandarsi momento dopo momento: “Ma cosa
dobbiamo fare adesso?”, si è passati all’attenzione al qui ed ora, alla sua
ricchezza, allo stupore per ogni passo che affondava nella neve.
È foglia che sa morire danzando, il bosco d’inverno è in attesa, si è spogliato, è scarno e duro, le foglie - volteggiando in autunno- sono cadute per permettere alle piante di sopravvivere al gelo, si aspettano tempi migliori, quelli in cui si torna ad essere rigogliosi.
Abbiamo spesso usato questa immagine della natura e del suo ciclo, nel susseguirsi delle stagioni, come metafora dell’esperienza umana, nei gruppi terapeutici in comunità. Chi si sente un tronco reciso, dal quale spunta qualche nuovo ramo, pronto a fiorire (ed uscire dalla comunità), chi sta mettendo radici più forti, chi ha bisogno di nutrimento per infoltire la chioma.
Poter
osservare la natura che riposa sotto una coltre di neve ci permette di sentirci
più vicini all’universalità del tempo che scorre.
L’osservazione
viene guidata a cogliere l’attesa, nella natura tutta, nei dettagli, in un
volto preso alla sprovvista o in una posa scelta.
Osservare (dal lat. observāre, comp. di ŏb ‘verso’ e servāre ‘serbare, custodire’) significa riposizionarsi nell’ambiente mediante assestamenti posturali, cognitivi ed emotivi. Lo sguardo si fa attento, aprendosi a nuove prospettive del vedere, ma anche dell’essere visti. “Vedere se stessi è, quindi, un’esperienza intensa di consapevolezza che permette di far entrare il nuovo in un’immagine consolidata di sé e della propria storia personale.” (O. Rossi, 2009).
Il lavoro con la foto offre una possibilità di dialogo tra l’immagine che percepisco di me e quella che percepisce un altro, tra l’essere stato e l’essere nel presente, permette di vedere come e cosa vedo e di prendere in considerazione cose diverse da quelle conosciute.
Dunque in ambito terapeutico possiamo utilizzare
la fotografia come metafora del modo che la persona ha di percepire
il mondo e più nello specifico del suo modo di relazionarsi e di essere. Alcuni
hanno reagito scattando e scattandosi molte foto, insieme agli altri o in
solitaria, c’è chi ha preso consapevolezza del disagio che provoca in lui
l’esperienza dell’attesa e si è rivisto nel lago ghiacciato, provando a rompere
quella lastra, non ancora pronta a sciogliersi. Chi non vedeva la neve da
vent’anni e cercava nelle foto di cogliere quel sorriso che gli esplodeva
dentro.
Alle volte può essere difficile esprimere verbalmente emozioni e sentimenti, soprattutto dopo un lungo tempo in cui si è abituati a tenerli per sé ed a resistere, basti pensare all’esperienza del carcere.
Così in un
secondo momento di rielaborazione sono stati scelti la foto più significativa,
per ciascuno, e lo stimolo di alcuni versi di Chandra Livia Candiani, poetessa
capace di far affiorare nella maniera più precisa ed efficace ciò che è
invisibile, andando a lasciare una traccia di quest’esperienza del singolo e
del gruppo su un cartellone.
La poesia
permette di convalidare esperienze emotive che diventando universali aumentano
la vicinanza e la coesione con gli altri. Riconoscersi in parole d’altri,
prendere a prestito versi fa sentire meno soli, promuovendo l’autoriflessione e
l’esplorazione del proprio universo emotivo.
Un coraggio
a segno ci vuole:
alzarsi,
staccare la pelle dal lenzuolo.
Come ombra,
insieme al
mondo
senza
tribunale.
Non so cosa
cade.
Non so cosa
cade,
ma non
voglio eseguire il male,
mettiti nei
tuoi panni
e comincia a
danzare,
insieme al
mondo
senza
tribunale…
È stato proprio il tagliare e incollare altrove che ha permesso di riconoscere la propria esperienza, emergere il proprio stato emotivo e da questo collage di sentimenti ciascuno ha tirato fuori il proprio componimento.
La fatica di
attendere
nonostante
tutto
ed il suo
orrore.
(Poesie liberamente tratte da Chandra Livia Candiani “Fatti Vivo”, 2017 e da “La bambina pugile ovvero la precisione dell’amore” , 2014)
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