Joy, dall’orrore della mafia nigeriana a Lampedusa, il porto della speranza
di Katya Maugeri «Ho visto un bambino addormentarsi e morire, lì davanti a me. Sulla barca una donna ha preso suo figlio e lo ha buttato in mare per salvarlo da quelle violenze: costanti e disumane. La disperazione, altro che speranza. Eravamo 150 persone, non ricordo tutto, ero stordita: i miei bambini di cinque mesi erano distanti, non li avevo in braccio perché ho viaggiato immersa nella benzina. Guarda qui la mia gamba, porto addosso i segni di quell’orrore». Lei è Joy ed è stanca di ripercorrere quei ricordi, «ma è necessario scriverle queste cose: la gente non fa altro che parlare senza conoscere il nostro inferno. È bene scriverle le nostre storie, non scegliamo di morire in mare per un capriccio o per conquistare terre di altri. La gente dovrebbe trascorrere un solo giorno di quelli che viviamo noi. Guardare con i loro occhi l’inferno che ci circonda per capirne l’orrore e il desiderio di fuggire via». Joy non è più tornata a Lagos, in Nigeria. Adesso è osp